La battaglia di Kursk
LA PIU' GRANDE BATTAGLIA DI CARRI ARMATI DELLA STORIA
brano tratto da A.Clark -"Barbarossa", Garzanti, 1965
Di tutte le operazioni della seconda guerra mondiale, nessuna rievoca tanto la guerra 1914-18 quanto l’attacco tedesco contro il saliente di Kursk, l’infausta Operazione Cittadella che si svolse nella piena estate del 1943. Giustamente considerata la più grande battaglia di carri armati — al culmine delle operazioni furono in campo contemporaneamente circa tremila carri armati — fu dall’inizio alla fine una colossale battaglia di logoramento, una lenta lotta che si svolse su una stretta fascia di territorio, quasi mai profonda più di ventiquattro-venticinque chilometri e nella quale le mine, la potenza di fuoco e il peso degli esplosivi (piuttosto che la mobilità e la capacità dei comandanti) furono i fattori decisivi. L’offensiva, che distrusse la forza dei Panzer e consegnò definitivamente nelle mani dei russi l’iniziativa strategica, mostra un altro aspetto che ricorda la grande guerra, e questo aspetto è costituito dagli indugi e dalle discussioni che precedettero l’inizio delle operazioni. Il piano acquistò a un certo momento un suo abbrivio che finì per trascinare tutti i partecipanti, alcuni riluttanti, altri completamente infatuati, verso un destino la cui ineluttabilità finì per essere riconosciuta da tutti.
In origine Manstein aveva pensato di colpire il saliente di Kursk subito dopo la vittoria di Kharkov, in marzo, ma data l’imminenza del disgelo e la difficoltà di far sì che Kluge esercitasse una pressione corrispondente da nord, il progetto venne accantonato. Venne rispolverato in aprile a una riunione dei capi di Stato Maggiore convocata da Zeitzler al Quartier Generale dell’oKH a Lótzen. In quel momento Manstein era più incline a sferrare un colpo di « contropiede » che avrebbe comportato l’abbandono dell’intero bacino del Donez e una grande offensiva Panzer a sud-est di Kharkov, ma Zeitzler reputò che un attacco contro Kursk sarebbe stato meno rischioso, non avrebbe comportato la necessità di dover sacrificare a priori del terreno e « non avrebbe pesato in modo eccessivo sulle riserve ».
L’11 aprile venne presentato a Hitler un promemoria che consigliava un attacco convergente affidato a Kluge (con la IX armata di Model) e a Manstein (con la IV armata Panzer di Hoth). Il Fuhrer però non sapeva decidersi. Il promemoria di Zeitzler diceva che sarebbero bastate da dieci a dodici divisioni Panzer con relativa fanteria d’appoggio. Hitler pensava che queste forze non fossero sufficienti, e quando Zeitzler disse che erano bastate solo cinque divisioni per riprendere Kharkov, il Fuhrer replicò che quella vittoria era stata conseguita grazie all’impiego dei Tiger « un solo battaglione dei quali valeva una normale divisione Panzer ». Per l’offensiva primaverile, Hitler era deciso a servirsi anche dei Panther.
La discussione si trascinò per alcune settimane, con il Fuhrer sinceramente, così sembra, indeciso e con la produzione dei Panther — che stava subendo una quantità di intralci — limitata ad appena dodici unità alla settimana. Durante il mese di aprile le notizie della discussione cominciarono a diffondersi e influenzarono l’intero alto comando nazista. Jodl, capo dello Stato Maggiore dell’OKW, era contrario all’Operazione Cittadella perchè riteneva che fosse pericoloso impegnare interamente la riserva strategica mentre si profilava la minaccia di nuove crisi nel Mediterraneo. Zeitzler replicava con l’argomento paradossale che la Wehrmacht era in quel momento così debole sul fronte orientale che non poteva rimanere ferma e « aspettare di essere colpita », ma doveva fare qualcosa per costringere i russi a sparare. Nella faccenda entrava anche l’inevitabile elemento personale. Warlimont dice che
Zeitzler non s’interessava di questi problemi più vasti, e il fatto di esserne escluso, come capo di Stato Maggiore dell’OKH, costituiva una fonte continua di risentimento per lui. Comunque sia, egli sollecitò l’esecuzione della « sua » offensiva e si lamentò con Hitler per l’intrusione di Jodl nella sua sfera di competenza.
In realtà lo Stato Maggiore dell’OKW era sempre più escluso dalle questioni che riguardavano il fronte orientale. Avrebbe dovuto essere un organo consultivo superiore, ma era ormai ridotto a poco più di un secondo ufficio operativo dell’Esercito per i teatri di guerra che non fossero quello russo. Un uomo solo, Hitler, conosceva tutti gli elementi dell’intero quadro strategico, mentre le persone che lo consigliavano, su questioni sia militari sia economiche o politiche lo facevano in base a ciò che potevano sapere nell’ambito del loro ufficio. Un risultato di questa situazione fu che nel caso dell’Operazione Cittadella la maggior parte di coloro che la sostenevano erano generali comandanti sul fronte russo, mentre quelli che erano contrari (ad eccezione di Guderian) non conoscevano le cifre dettagliate con cui giostravano i sostenitori dell’operazione per dare maggior forza alle loro argomentazioni.
Se nella divergenza fra Zeitzler e Jodl si celava un risentimento personale, questo era invece ben noto a tutti per quel che riguardava Kluge e Guderian. Anche nelle cerimonie ufficiali i due uomini quasi non si parlavano, e in maggio Kluge scrisse a Hitler chiedendogli il permesso di sfidare a duello l’ispettore generale. Kluge, quale comandante in capo del Gruppo di Armate Centro, era decisamente a favore dell’Operazione Cittadella. L’apparente vittoria da lui riportata su Guderian nel 1941 aveva finito per lasciargli un sapore amaro in quanto, mentre il settore di Kluge era rimasto statico e senza gloria per oltre un anno, Guderian era riemerso dall’ombra con poteri e influenza immensi. Non fu difficile per Kluge e per gli altri che erano gelosi dell’ispettore generale presentare la sua opposizione all’Operazione Cittadella come motivata dalla paura che l’operazione stessa avrebbe potuto condurre a una diminuzione dei suoi poteri di controllo sulle forze corazzate; in tal modo essi poterono ottenere altri consensi all’operazione semplicemente perchè Guderian vi si opponeva.
Nel frattempo Hitler stava facendo dei sondaggi fra i comandanti di prima linea per il tramite di Schmundt e degli assistenti del suo aiutante. Questi sondaggi rivelarono una sorprendente eccezione alla unanimità proclamata da Zeitzler. Infatti Model, che doveva comandare la IX armata sotto Kluge, disse di avere molti dubbi circa le possibilità di successo dell’operazione. La ricognizione aerea e l’attività di pattuglie mostravano che i russi non avevano dubbi circa il luogo e il modo in cui i tedeschi avrebbero colpito e che si preparavano energicamente ad affrontarli.1 A questa obiezione Zeitzler e i fautori del piano risposero cambiando argomentazione. Se i russi stavano veramente per dare battaglia in quel punto, ciò non significava che la zona scelta era di vitale importanza e che una parte notevole delle forze corazzate russe sarebbero' state impegnate nella battaglia?
Nel frattempo le settimane passavano e con l’accumularsi delle forze russe la concezione originale dell’operazione Cittadella stava
inesorabilmente trasformandosi da quella di un attacco breve e violento che doveva mandare all’aria i piani offensivi dei sovietici in quella di una prova di forza che avrebbe deciso l’intero corso della campagna estiva. All’inizio di maggio Hitler era ancora incerto se emanare la Direttiva o no, e pertanto il giorno 3 venne convocata a Monaco una riunione di comandanti di armata e di Gruppi di Armate per discutere le prospettive. Durante questa riunione, che durò due giorni, solo Guderian parlò decisamente contro l’offensiva sotto qualsiasi forma (sebbene egli venisse appoggiato da Speer in una relazione sulle armi e sugli aspetti della produzione). Zeitzler e Kluge erano molto entusiasti e Manstein, « come sempre quando si trovava a faccia a faccia con Hitler, non era nelle condizioni migliori ». Il comandante del Gruppo di Armate Sud riuscì a dire solo che le probabilità di successo « sarebbero state eccellenti in aprile », ma che in quel momento gli riusciva difficile formarsi una opinione. In realtà, i migliori argomenti contro l’operazione vennero addotti dallo stesso Hitler, il quale aprì la discussione con un conciso riassunto del rapporto di Model e concluse dicendo : « Model è giunto a una conclusione giusta... e cioè che il nemico contava che noi sferrassimo questo attacco e che per raggiungere il successo dobbiamo adottare un nuovo criterio tattico. »
Tuttavia Hitler non voleva ancora prendere una decisione definitiva e, con espediente dilatorio caratteristico, tornò alla questione dei Panther. Una inchiesta mostrava che solo circa 130 di questi carri armati erano stati effettivamente completati e di questi meno di 100 erano stati consegnati. Il piano originale di produzione prevedeva che per la fine di maggio avrebbero dovuto essere pronte 250 unità. Speer chiarì che le prime difficoltà incontrate erano state superate e che l’obiettivo di 250 unità poteva essere comodamente superato, e che per il 31 maggio sarebbero stati disponibili 324 carri armati. Ciò significava che, se i Panther dovevano essere impiegati in misura consistente, l’offensiva avrebbe dovuto essere rinviata fino a giugno. Venne fissata una data approssimativa, il 23 giugno, sulla quale, in attesa della decisione finale, si potessero preparare dei piani contingenti.
Le cifre suddette vennero esibite in una riunione a parte sulla produzione dei carri armati tenuta alla Cancelleria il io maggio, una settimana dopo la discussione di Monaco. Fu appunto alla fine di questa riunione che Guderian avvicinò Hitler ed ebbe luogo la famosa conversazione nel corso della quale Hitler ammise che la sola idea dell’operazione Cittadella « gli faceva rivoltare lo stomaco ». Notevolmente agitato, Guderian aveva chiesto a Hitler perchè volesse attaccare in Oriente nel 1943. Keitel era allora intervenuto dicendo : « Dobbiamo attaccare per ragioni politiche », al che Guderian replicò: « Quanta gente pensate che sappia dove sia Kursk? Il mondo se ne infischia profondamente se noi teniamo o non teniamo Kursk... » Al che Hitler, dopo aver confessato i propri timori, disse di non essersi « ancora deciso ».
Se i generali che erano favorevoli all’Operazione Cittadella avessero saputo la verità circa i preparativi dei russi, non sarebbero stati così entusiasti. La prima valutazione del piano tedesco era stata fatta da Vatutin fin dall’aprile e prevedeva con notevole intuito l’aspetto finale dell’operazione. Nei due mesi successivi, i russi accumularono sui fianchi del saliente cannoni e carri armati con un ritmo notevolmente superiore a quello tenuto dal concentramento tedesco.
Per coordinare i tre « fronti » interessati e per preparare il piano di una controffensiva che entrasse in azione non appena l’impeto dell’attacco tedesco fosse diminuito, lo Stavka aveva mandato a Kursk alla fine di aprile Zukov e Vasilievski. Essi previdero che il peso principale dell’attacco sarebbe ricaduto sul « fronte di Voronezh » di Vatutin, davanti a Belgorod, e pertanto schierarono in quel settore due armate veterane dei combattimenti di Stalingrado, la XXI e la LXIV (ora ribattezzate VI e VII armata Guardie) e una fortissima unità carristi, la I armata corazzata. Il grosso del saliente, compreso l’angolo settentrionale di fronte a Model, si trovava nell’ambito del « fronte centrale » di Rokossovski e ricevette continui rinforzi di artiglieria, fino a che, alla fine di giugno, vi si trovarono ammassati più reggimenti di artiglieria che di fanteria, raggiungendosi in quel settore la cifra favolosa di oltre 20.000 pezzi, di cui 6000 cannoni anticarro da 76,2 mm e 920 lanciarazzi multipli « Katiuscia ». Le mine anticarro e antiuomo raggiungevano la densità di oltre 4000 su poco più di un chilometro e mezzo. Tutte le unità schierate a difesa vennero accuratamente istruite sul modo di reagire all’atteso attacco tedesco. Un capitano dell’Armata Rossa scrisse che la sua brigata
... contemplava cinque possibili posti nei quali essi [i tedeschi] avrebbero potuto colpire, e per ciascuno di questi posti noi sapevamo accanto a chi avremmo combattuto, quali sarebbero stati i rincalzi e i posti di comando. La brigata è dislocata più indietro, ma le trincee e i ripari sono più avanti, e sappiamo qual è la via che dovremo percorrere per raggiungerli. Il terreno, sul quale abbiamo fatto delle ricognizioni topografiche, è cosparso di segnali indicatori. Conosciamo la profondità dei corsi d’acqua e il carico massimo dei ponti. I collegamenti con la divisione sono stati raddoppiati, sono stati previsti codici e sistemi di segnalazione. I nostri uomini, che vengono spesso posti in stato di allarme di giorno e di notte, si sono familiarizzati con il loro compito in ogni eventualità...
Questa fiducia e questa sicurezza quanto al ruolo da svolgere e agli obiettivi da raggiungere erano precise non solo nei comandi del « fronte », ma anche nei più piccoli reparti di prima linea. Dopo che il saliente fu consolidato, i rinforzi vennero diretti ai fronti « occidentale » e di « Bryansk », posti agli ordini di Popov e Sokolovski, che dovevano tenersi pronti a colpire il fianco sinistro di Model nel saliente di Orel quando Zukov avesse ritenuto giunto il momento di farlo. Venne creato agli ordini di Koniev un nuovo « fronte di riserva » chiamato il « fronte della steppa » al quale si dovevano attingere le unità fresche da inviare nei punti critici dopo l’inizio della battaglia e che doveva servire per lo sfruttamento del successo che Zukov e Vasilievski erano convinti sarebbe venuto una volta che l’impeto tedesco si fosse esaurito. La maggior parte delle forze corazzate russe vennero integrate nelle forze di difesa con funzione di appoggio ravvicinato, ma una fortissima unità, la V armata corazzata, venne tenuta indietro nel fronte di Koniev per un’azione veloce contro i Panzer nel caso che questi dovessero sfondare. Bisogna dire che ben poche operazioni belliche di vasta portata, sin dal tempo della disastrosa « offensiva Nivelle » dell’aprile 1917,2 furono mai previste con tanto anticipo e con tanta precisione quanto l’attacco tedesco contro Kursk nel 1943. La nuova atmosfera che regnava nell’Armata Rossa venne riassunta da un capitano carrista, il quale dichiarò : « All’inizio della guerra si faceva tutto in fretta e non c’era mai tempo. Ora andiamo in azione con calma. »
Per quanto possa sembrare paradossale, mentre i preparativi russi si svolgevano con tanta energia e metodicità, dalla parte dei tedeschi si verificavano continui indugi e c’erano voci di mutamenti e di rinvii. Venne giugno e l’obiettivo Panther fu puntualmente raggiunto. Ma ormai i rapporti sui preparativi dei russi erano così allarmanti che venne deciso di aspettare la produzione di altre tre settimane, il che avrebbe consentito di mandare alle divisioni di Model, al nord, altri due battaglioni di Panther oltre a quelli aggregati all’XI Panzer, alla Gross Deutschland, e alle tre divisioni del corpo d’armata Panzer ss di Hausser. Ciò significava che l’inizio dell’attacco doveva essere nuovamente rinviato dalla seconda settimana di giugno all’inizio di luglio. Manstein uscì allora dal suo riserbo e dichiarò che l’operazione non era più fattibile e che doveva essere abbandonata, ma ormai era troppo tardi. Il fronte unito dello Stato Maggiore Generale, formato da Keitel, Zeitzler e Kluge, era riuscito finalmente a persuadere il Fiihrer, il quale una volta che aveva preso una decisione non la cambiava più. L’ora X venne fissata per il 4 di luglio, « il giorno dell’indipendenza americana », osservò malinconicamente il capo di Stato Maggiore del XLVIII corpo d’armata Panzer, « l’inizio della fine della Germania ».
Dati i precedenti timori che aveva nutrito, c’è da presumere che Hitler, acconsentendo ad autorizzare l’Operazione Cittadella, non fosse guidato da considerazioni puramente tattiche, ma quali fossero queste considerazioni non lo si sa di preciso. Alcuni osservatori, in particolare Warlimont, credono che l’avversione patologica del Fiihrer per le ritirate venne sfruttata da Zeitzler, il quale sostenne che quella era la sola alternativa. Gli argomenti di Jodl circa i pericoli che minacciavano il teatro d’operazione del Mediterraneo e le voci della instabilità di Mussolini in Italia, servirono a far considerare l’importanza vitale di far bloccare ogni possibilità anche lontana di un avvicinamento dei russi ai Balcani. Ma ci fu anche l’effetto ipnotico che la prospettiva di una grande battaglia dovette avere su tutti coloro che erano coinvolti nella sua preparazione. I generali sostenevano, con ragione, di essere sempre riusciti a perforare le posizioni russe al primo colpo; era stato semmai più tardi, quando l’impeto dei carri armati si esauriva negli spazi sterminati delle pianure, che erano cominciate le difficoltà. Questa volta essi avevano limitato il loro scopo, appena centodieci chilometri, meno di sessanta chilometri per ogni braccio della tenaglia! Senza dubbio questa impresa era alla portata di truppe che, nelle precedenti campagne, con una sola puntata in avanti, avevano conquistato centinaia di chilometri. La potenza di fuoco e la mobilità delle forze attaccanti sarebbe stata maggiore che nel 1941 o ’42, il loro grado di concentramento molto più alto, i loro obiettivi incomparabilmente meno ambiziosi. E non era forse vero che nessuna forza sulla terra poteva resistere al primo urto dell’Esercito tedesco in fase offensiva?
Senza dubbio, giudicato su qualsiasi metro che non fosse quello delle opposte formazioni sovietiche, l’ordine di battaglia dei tedeschi, quando finalmente prese forma negli ultimi giorni di giugno del 1943, appariva veramente formidabile. Togliendo al resto del fronte la sua protezione di forze corazzate, il numero delle divisioni Panzer era stato portato, dalle dieci originariamente assegnate, a diciassette. Nella IX armata, Model aveva non meno di tre corpi d’armata Panzer e due corpi d’armata di fanteria d’appoggio. All’ala meridionale, la IV armata Panzer di Hoth era la più forte unità che fosse mai stata affidata ad un unico comandante nell’Esercito tedesco. Il suo fronte d’attacco, fiancheggiato da tre corpi d’armata di fanteria, comprendeva da ovest a est 3* Panzer, Gross Deutschland, 11a Panzer ss Leibstandarle, ss Das Reich, ss Totenkopf, 6a Panzer, 19a Panzer, 7a Panzer — nove delle migliori divisioni dell’Esercito tedesco schierate a spalla a spalla su nemmeno 50 chilometri di fronte!
Negli ultimi giorni prima dell’attacco una strana sensazione, non tanto di fiducia quanto di fatalismo, si impadronì delle truppe corazzate tedesche : se questa forza, questa enorme massa che circondava i russi da ogni parte, non riusciva a schiacciarli, allora nessuno ci sarebbe riuscito. Obbedendo alle norme di sicurezza, che però il Servizio Informazioni russo aveva scoperto da tempo, gli ufficiali Panzer si toglievano le uniformi nere prima di ispezionare le posizioni avanzate per un’ultima ricognizione. Guardando attraverso la terra di nessuno in direzione delle linee nemiche, essi vedevano
... una estesa pianura interrotta da numerose vailette, da piccole boscaglie, da villaggi irregolarmente sparsi con le case dai tetti di paglia, da alcuni fiumi e torrenti; fra questi c’era il Pena, che scorreva veloce tra due ripide sponde.
II terreno si alzava leggermente verso nord favorendo così i difensori. Estesi campi di granoturco coprivano il terreno rendendo difficile la visibilità.
Questo era il terreno sul quale sarebbe stata combattuta l’ultima grande offensiva dell’Esercito tedesco all’Est; la più importante battaglia di carri armati della storia e uno degli scontri più impegnativi e più aspri della seconda guerra mondiale.
Il 2 luglio lo Stavka aveva avvisato i comandanti al fronte di aspettarsi l’attacco in qualsiasi momento, fra il 3 e il 6, e nella notte fra il 3 e il 4 un disertore cecoslovacco di un battaglione genieri del LII corpo d’armata riferì che a tutti i reparti era stata fatta una distribuzione extra di acquavite ed erano state date razioni per cinque giorni. Giudicando che l’attacco fosse imminente, Vatutin ordinò il bombardamento delle posizioni avanzate tedesche e dei punti di concentramento, bombardamento che venne effettuato con notevole intensità per quattro ore dall’artiglieria di medio calibro russa, mentre l’artiglieria anticarro aveva ordini severi di non sparare. Mentre subivano questo trattamento distruttivo, che non lasciava presagire nulla di buono, da parte delle artiglierie sovietiche, i soldati tedeschi in attesa di scattare all’attacco ricevettero un messaggio personale del Fuhrer:
Soldati del Reich!
Oggi voi dovete prendere parte a una offensiva di tale importanza che tutto il futuro della guerra può dipendere dal suo risultato. Più di qualsiasi altra cosa, la vostra vittoria dimostrerà al mondo intero che è impossibile resistere alla potenza dell’Esercito tedesco.
Quella curiosa mancanza di immaginazione e di duttilità che è una caratteristica ricorrente della mentalità militare tedesca, e la cui influenza sulla progettazione tattica dell’operazione Cittadella è stata già rilevata, diventò in breve evidente anche nella fase esecutiva. Ancora una volta i calcoli vennero basati sulla vecchia formula della Blitzkrieg — Stuka, un breve e intenso bombardamento di artiglieria, masse di carri armati e di fanteria in stretto contatto — senza tener conto delle mutate condizioni, fatta eccezione per un semplice aumento aritmetico delle forze e dei rispettivi elementi componenti.
Alle due del pomeriggio, i carri armati tedeschi, circa duemila nella prima ondata, uscirono fuori dai sentieri incassati e dalle balkas asciutte dove erano rimasti in agguato e avanzarono lentamente con i portelli chiusi attraverso il mare di messi verdi e gialle della valle superiore del Donez.
Mentre avanzavamo, l’artiglieria russa arava il terreno intorno a noi [scrisse il radiotelegrafista di un Tiger]. Ivan, con la solita furberia, non aveva sparato nelle settimane precedenti e nemmeno quella mattina, quando i nostri cannoni lo bombardavano. Ma ora tutta la linea del fronte era una girandola di lampi. Sembrava come se avanzassimo in un anello di fuoco. Per quattro volte il nostro bravo « Ronzinante » sussultò sotto un colpo diretto, e noi ringraziammo il fato per la robustezza del nostro buon acciaio Krupp.
I tedeschi cominciarono l’attacco in condizioni di virtuale parità, per quello che riguardava le forze corazzate (sebbene nessun resoconto tedesco lo ammetta) e di chiara superiorità per quello che riguardava i Tiger e i Panther, ma l’artiglieria russa era incomparabilmente più forte per potenza, numero e modo d’impiego. I cannoni di Manstein non erano riusciti nè a saturare la prima fascia difensiva russa nè ad aprire molti varchi attraverso i campi minati. Il risultato fu che molti carri armati vennero danneggiati dalle mine nel primo chilometro e in breve furono superati dalla fanteria d’appoggio. Gli equipaggi Panzer avevano ricevuto ordini severissimi affinchè
... in nessun caso i carri si fermeranno per aiutare quelli che sono stati danneggiati. Il recupero è compito esclusivamente dei reparti genieri. I comandanti carristi devono avanzare verso l’obiettivo finché sono in condizione di muoversi. Se un carro viene immobilizzato ma il pezzo è efficiente (cioè, se si verifica un incidente meccanico o se vengono danneggiati i cingoli), l’equipaggio continuerà ad effettuare un tiro d’appoggio da fermo.
Questa era in pratica una sentenza di morte per gli equipaggi dei carri danneggiati, in quanto i cannoni russi erano così fitti sul terreno che, dopo pochi minuti che un Panzer aveva urtato contro una mina, riuscivano a centrarlo in pieno. C’erano anche speciali squadre di fanteria anticarro che erano state scaglionate nelle trincee in mezzo ai campi minati e che, come si vedrà, agirono con particolare successo a nord contro Model.
La tattica tedesca era quella di avanzare con una successione di cunei corazzati — chiamati Panzerkeile — con i Tiger ammassati sulla punta del cuneo e i Panther e i PzKw iv aperti a ventaglio più indietro. La fanteria con l’armamento leggero di carabine e bombe a mano si muoveva subito dietro i carri armati, mentre alla base del cuneo avanzavano con i semicingolati forze più pesanti armate di mortai. Questa tattica comportava il ripudio della concezione tradizionale dell’armata Panzer intesa come una spada da usare per una stretta e profonda penetrazione nelle retrovie nemiche, sostituendola con il concetto dell’ascia che doveva sfondare il fronte nemico per una considerevole lunghezza. Questo mutamento era stato imposto ai tedeschi dalla tenacia con cui l’Armata Rossa difendeva i lati delle brecce, e dall’aumento della potenza di fuoco dei russi nell’ultimo anno, il che rendeva troppo pericolosa l’azione indipendente dei Panzer, per lo meno nelle prime fasi della battaglia.
Sia Model che Manstein usavano infatti la stessa tattica impiegata da Montgomery a El Alamein, iniziando la battaglia con le forze corazzate in funzione di appoggio della fanteria, nella speranza che rimanessero abbastanza carri efficienti per sfruttare il successo una volta che la breccia fosse stata aperta. Ma qui, diversamente da quello che era accaduto a El Alamein, la forza dei difensori era pari a quella degli attaccanti, e il modo in cui essi si erano preparati alla battaglia consentiva loro di tenere in riserva per l’ultima fase del combattimento una forte percentuale di forze corazzate.
I russi avevano escogitato un metodo di concentramento di fuoco, chiamato dalle truppe tedesche Pakfront, basato sull’impiego di gruppi di un massimo di dieci cannoni anticarro posti sotto un unico comandante, i quali concentravano il fuoco su un singolo bersaglio alla volta. I campi minati erano stati preparati in modo da convogliare i carri armati attaccanti nel campo di tiro di questi gruppi, che erano scaglionati in profondità per oltre otto chilometri. Poiché era presumibile che ad ogni salva venisse colpito un carro armato, si può vedere come i Panzer dovessero sopportare dure perdite prima di poter liquidare i serventi al pezzo e raggiungere gli obiettivi iniziali.
Nell’ordine di operazioni era stato precisato che i carri armati non dovevano liquidare da soli tutte le posizioni dell’artiglieria russa, ma dovevano lasciare questo compito alla fanteria d’accompagnamento, sebbene, naturalmente, essi dovessero rispondere al fuoco dei cannoni che li impegnavano. L’inconveniente di questo piano era costituito dal fatto che la forza e la profondità del Pakfront era stata di molto sottovalutata e che a loro volta i cannoni russi erano protetti da mitragliatrici e nidi di mortai con ordini severissimi di sparare solo sulla fanteria tedesca e cioè in appoggio alla propria batteria.
Il risultato fu che solo nella tarda serata apparve evidente la estensione delle difese russe, quando cioè il Panzerkeile si era già malamente smussato. La grande maggioranza dei cannoni anticarro russi erano i soliti 76,2/30, un’arma che era in grado di perforare la corazza frontale del Tiger solo sparando a zero; pertanto, molti di quei mostruosi carri armati riuscirono a passare attraverso la prima fascia di difese con danni appena superficiali. Alle loro spalle, però, i PzKw IV avevano subito gravi danni e molti Panther erano andati distrutti o erano rimasti danneggiati sui campi di mine. La sera cadde sul campo di battaglia sorprendendo la massa delle forze attaccanti ancora impegolate in mezzo alle posizioni dell’artiglieria e alle trincee della prima fascia, mentre alcuni gruppi isolati di Tiger erano penetrati a fondo nella zona principale di difesa russa. Durante la notte, gruppi di Panzergrenadiere strisciarono attraverso il campo di battaglia cercando di raggiungere i carri isolati per dare loro una certa protezione; le brevi ore di oscurità furono continua-mente interrotte dalle luci abbaglianti dei razzi al magnesio e Very, dai fasci dei proiettili traccianti e dalle fiammate arancione dei Flammenwerfer che venivano a contatto con le squadre anticarro e le pattuglie di fanteria russe.
Alle quattro di mattina del 5 luglio il sole si levò su un campo di battaglia che sembrava un classico esempio di guerra di posizione, come se la grande guerra non fosse mai terminata dal 1917, mentre solo l’equipaggiamento più perfezionato stava ad indicare il tempo trascorso. Nubi di fumo scuro, provenienti dai campi di grano che bruciavano e dai tetti di paglia dei villaggi, attraversavano il campo di battaglia spinte da una leggera brezza proveniente da ovest; qua e là si levava il fumo nero e denso dei carri armati che bruciavano; il continuo crepitio delle armi portatili era sovrastato dall’intenso cannoneggiamento dei pezzi da 76 russi e dal sibilo dei razzi « Katiuscia »; di quando in quando, il forte rombo dei pezzi da 88 faceva capire che i Tiger, a cinque-sei chilometri di distanza, si stavano difendendo. Il terribile sforzo compiuto dalla fanteria durante la notte aveva fruttato ai tedeschi il controllo della prima fascia di difese russe, per lo meno nel senso di ridurre al silenzio i cannoni anticarro piazzati colà; rimanevano ancora, tuttavia, molti cecchini che sparavano ai genieri intenti a bonificare i campi di mine. Era ancora quasi impossibile avanzare contro la seconda e più forte fascia difensiva, il cui fuoco di artiglieria, concentrato sui punti che i tedeschi avevano ora occupato, produceva notevoli danni. I russi avevano spostato in avanti molti carri armati durante la notte e li avevano fatti attestare su posizioni defilate che erano state preparate nelle settimane precedenti la battaglia. Ciò fece sì che il secondo giorno la loro potenza di fuoco fosse quasi pari a quella che era stata nel primo giorno, nonostante l’eliminazione della linea di difesa avanzata. Le linee tedesche, al contrario, si erano allungate fra le compagnie avanzate dei Tiger, i cui rapporti e le cui richieste di aiuto giungevano incessantemente attraverso la radio a onde corte, e i Panzerkeile mozzati che cercavano di riformarsi per un secondo attacco.
Dei due bracci che dovevano convergere attraverso la base del saliente lunga circa cento chilometri, quello di Model si trovava in condizioni peggiori. Era infatti qui, nel settore settentrionale, che erano stati impiegati i novanta Porsche Ferdinand quali punte di lancia per l’attacco del XLVII corpo d’armata Panzer. Come gli Henschel Tiger delle ss a Belgorod, essi riuscirono a perforare il sistema difensivo russo con poca difficoltà grazie alla loro pesante corazzatura. Ma nel giro di poche ore dalla loro apparizione la fanteria russa aveva scoperto che questi mostri non avevano un armamento secondario. Spaventosamente efficaci contro i T-34, formidabili contro le postazioni d’artiglieria, erano però inutili contro la fanteria trincerata. In breve rimasero indietro ai carri armati leggeri che li scortavano e che avevano dato loro la protezione delle proprie mitragliatrici e, uno dopo l’altro, caddero vittime dei gruppi di fanteria sovietica che saltavano sullo scafo dei carri in movimento e infilavano i lanciafiamme nei fori di ventilazione sopra il motore. Guderian espresse questo giudizio:
Erano inadatti al combattimento a corta distanza perchè non avevano sufficiente munizionamento [cioè di proiettili ad alto esplosivo e perforanti] per i loro cannoni, e questo difetto era aggravato dal fatto che non possedevano mitragliatrici. Una volta che erano penetrati [i Ferdinand] nella zona della fanteria nemica, dovevano letteralmente andare a caccia di quaglie col cannone. Essi non riuscirono a neutralizzare, non parliamo di distruggere, i fucili e le mitragliatrici del nemico, e così la nostra fanteria non fu in grado di seguirli. Quando raggiungevano l’artiglieria russa, erano soli. Nonostante il grande coraggio dimostrato e le eccezionali perdite subite, la fanteria della divisione di Weidling non riuscì a sfruttare il successo dei carri armati...
Nemmeno l’avvento dei Panther ebbe gli effetti che erano stati sperati. Il capo di Stato Maggiore del XLVIII corpo d’armata Panzer riferì che essi
... non furono pari alle aspettative. Prendevano fuoco facilmente perchè i serbatoi di carburante e di lubrificante erano poco protetti e gli equipaggi erano insufficientemente addestrati.
Dopo ventiquattr’ore di combattimenti, il fronte russo era stato intaccato solo in un posto — la parte centro-sinistra del fronte di attacco di Manstein — dalle forze combinate del XLVIII corpo d’armata Panzer e delle ss. Qui i russi erano stati respinti, attraverso una fascia difensiva profonda circa quattro chilometri, fino a una linea formata da quattro villaggi disposti lungo un corso d’acqua: Sawidowka-Rakowo, Alexeyevka, Luchanino e Ssyrzew. Durante la notte i Panzergrenadiere erano riusciti a ripulire le case sul lato meridionale e Hoth decise di forzare il passaggio del corso d’acqua alle prime luci del 5 luglio con la 3a Panzer e la Gross Deutschland. Ma durante la notte un temporale fece alzare considerevolmente il livello delle acque e aumentò l’ampiezza del corso d’acqua trasformando i campi sulle due sponde in una palude fangosa. Col favore delle tenebre, i russi avevano spostato carri armati e cannoni fra gli edifici e le macerie della sponda opposta, e le due divisioni Panzer vennero prese sotto il fuoco diretto mentre si radunavano in formazione compatta nella mattinata. Durante il giorno i genieri cercarono, al riparo di una instabile cortina fumogena, di gettare dei ponti. Sulle loro teste infuriava un accanito duello d’artiglieria fra i cannoni russi e i carri armati ammassati dalla 3a Panzer e dalla Gross Deutschland, con l’intervento degli Stuka che però solo in parte compensava per Hoth la mancanza di artiglieria pesante. Al cadere della notte i tedeschi avevano subito gravi perdite e non avevano avanzato di un metro. Durante la notte fra il 5 e il 6 luglio, entrambe le divisioni vennero ritirate e riorganizzate. I russi erano riusciti con un contrattacco a riconquistare parte di Sawi-dowka, e la 3a Panzer venne spostata all’ala sinistra per riprendere il villaggio e attraversare il corso d’acqua alla sua confluenza con il Pena; l’11a Panzer si schierava alla destra della Gross Deutschland nel tentativo di aprire una breccia fra Luchanino e Ssyrzew: una impresa che si sperava sarebbe stata facilitata dall’avanzata della ss Leibstandarte e della ss Das Reich, che avevano faticosamente avanzato per circa sette chilometri alla destra del XLVIII corpo d’armata Panzer.
Il 7 luglio, quarto giorno dell’attacco, il terreno si era di nuovo asciugato abbastanza da permettere ai mezzi corazzati tedeschi di attraversare il corso d’acqua, e la Gross Deutschland prese Ssyrzew. Contemporaneamente, gli attacchi della 3a Panzer stavano lentamente scalzando i difensori dalle loro posizioni sul Pena. Durante la serata, il fuoco russo si indebolì e il XLVIII corpo d’armata Panzer riuscì ad attraversare il corso d’acqua. Hoth aveva ora superato quasi per metà la zona di difesa russa e si trovava davanti alla principale « linea dell’artiglieria ». Alla destra del XLVIII corpo d’armata Panzer, le tre divisioni ss di Hausser erano penetrate abbastanza profondamente, ma a differenza di quanto aveva fatto Kno-belsdorff, il comandante ss non era riuscito a fare arretrare l’intero fronte russo; invece, ciascuna divisione aveva praticato una sua breccia attraverso la quale aveva avanzato a fatica verso nord, presa continuamente d’infilata sui fianchi. Il 9 luglio fu chiaro a Hoth che il momento critico della battaglia si stava avvicinando, in quanto la maggior parte delle sue truppe era rimasta in azione senza respiro per cinque giorni. Le razioni e le munizioni con cui avevano cominciato la battaglia stavano diminuendo, e l’intensità del fuoco russo rendeva estremamente diffìcile effettuare le riparazioni e i rifornimenti indispensabili per le forze corazzate. L’unico sprazzo di luce sembrava venire dal settore centrale del fronte di Knobelsdorff, dove la Gross Deutschland era riuscita a respingere un gruppo di combattimento attraverso il villaggio di Gremutshy, che si trovava in mezzo alla zona principale di difesa russa. Durante il pomeriggio e la sera del 9 luglio, il generale Walter Hoernlein, il comandante, cercò di inseguire il gruppo di combattimento con il reggimento Panzergrenadiere e con circa quaranta carri armati, che cominciò a spingere verso occidente, dietro la linea dell’artiglieria russa, con l’intenzione di mettere in crisi le difese che tenevano in scacco il fianco sinistro del corpo d’armata Panzer. Questa operazione fu coronata dal successo nella nottata quando i russi si ritirarono da Rakowo, dove avevano sbarrato la strada alla 3a Panzer, e lasciarono libero il fianco destro di Knobelsdorff, il che consentì all’i ia Panzer di effettuare un congiungimento con la ss Leibstandarte.
Durante quella stessa notte Hoth si era consultato con Manstein e la mattina del io egli disse a Hausser e Knobelsdorff di rastrellare la breccia con i semoventi e i Panzergrenadiere e di ammassare tutti i carri armati efficienti disponibili per quello che egli sperava sarebbe stato un attacco di sfondamento contro la linea russa fra Kruglik e Novoselovka. Per due giorni la fanteria della 3a Panzer e della Gross Deutschland cercò di costringere i russi ad effettuare una conversione all’indietro. Nel corso di continui e selvaggi combattimenti, i tedeschi ripulirono il gruppo di villaggi che si trovava a cavallo del Pena e la sera dell’ 11 erano riusciti a far indietreggiare i russi superstiti nei boschi al di sopra di Berezovka. Era stato così scavato nelle posizioni di Vatutin un saliente rettangolare di circa quindici per venticinque chilometri: magro risultato dopo gli sforzi e le perdite di una settimana di combattimenti, ma sufficiente tuttavia per consentire ai comandanti delle unità carriste di riorganizzarsi fuori della portata dell’artiglieria sovietica. Quella notte la Gross Deutschland venne ritirata dalla linea del fronte e sostituita con la 3a Panzer.
Sul fronte di Hausser non era stato raggiunto nemmeno questo modesto risultato. La fanteria ss era così duramente impegnata a proteggere i fianchi della divisione, che i singoli comandanti ebbero grande difficoltà a disimpegnare i carri armati dalle estremità delle diverse punte avanzate. L’11 la Das Reich e la Leibstandarte riuscirono ad affettuare un congiungimento, ma la Totenkopf era ancora isolata ed era alle prese con i russi che si mostravano inclini ad uccidere tutti i prigionieri che portassero i suoi distintivi. Questa fu l’ultima e più accanita lotta combattuta da unità ss puramente tedesche. Dopo l’Operazione Cittadella, Himmler ammise nei ranghi del suo esercito una quantità sempre crescente di reclute provenienti dai paesi occupati e la schiuma dei criminali provenienti dalle prigioni civili del Reich. Ma gli uomini che combatterono a Kursk erano tutti passati per la dura scuola di Bad Tòlz, il cui regime era tale che le reclute ne uscivano
... come se fossero state appena scartate per essere appese a un albero di Natale: incredibilmente rosee, fresche e teutoniche, con le tasche ben tese che contenevano solo una modesta scorta di cartamoneta che non gonfiava, il ruolino, il fazzoletto piegato come voleva il regolamento e un preservativo.
Dopo aver prestato giuramento nelle ss, le reclute dovevano frequentare la scuola di guerra corazzata dove «... dovevano imparare a scavarsi le buche da soli, sapendo che dentro un determinato tempo i carri armati sarebbero passati sulle loro teste, sia che la buca fosse stata completata o no. Agli allievi ufficiali poteva essere richiesto di tirar via la linguetta di sicurezza di una bomba a mano, tenere l’ordigno in equilibrio sull’elmetto e rimanere sull’attenti mentre esplodeva ».
Ora questi uomini si trovavano a faccia a faccia con l'Untermensch e scoprivano con grande sorpresa che il nemico era bene armato, astuto e coraggioso quanto loro.
Nonostante che le loro posizioni a sud fossero state intaccate, Zukov e Vasilievski non potevano non essere soddisfatti della situazione la notte dell’11 luglio. Il fatto di essere riusciti a bloccare l’attacco di Model li aveva lasciati liberi di fronteggiare Hoth, e inoltre tutta la loro riserva corazzata, la V armata corazzata, non era stata ancora impegnata. Rendendosi conto che la prova finale di forza con i Panzer sarebbe avvenuta entro le successive ventiquattro ore, Zukov mise questa unità corazzata agli ordini di Vatutin, e durante la notte fra l’11 e il 12 tutta l’unità si spostò in avanti per fronteggiare l’attesa irruzione del XLVIII corpo d’armata Panzer e delle ss di Hausser. Al tempo stesso, venne ordinato a Sokolovski di condurre la serie di contrattacchi che lo Stavka aveva previsto contro il saliente di Orel sullo sguarnito fianco sinistro di Model; Popov avrebbe dovuto seguirlo dopo quarantotto ore.
Tutto questo, naturalmente, non era noto a Hoth, ma i rapporti della 3a Panzer indicavano che la difesa russa fra Kruglik e Novose-lovka andava irrigidendosi di ora in ora e che l’attività del nemico contro il suo fianco sinistro era in aumento. Senza curarsi delle condizioni di Hausser e Knobelsdorff, il comandante della IV armata Panzer era deciso a spingere i suoi mezzi corazzati in campo aperto prima che si potesse formare una scaglia di protezione sulla sottile membrana delle ultime difese russe. Il 12 luglio l’intera forza mobile, racimolata fra le tre forze di Kempf, Hausser e Knobelsdorff, in tutto circa seicento carri armati, iniziò la sua marcia della morte. Prima di mezzogiorno venne stabilito il contatto con le truppe corazzate della V armata sovietica e, sotto una gigantesca nube di polvere, in un caldo asfissiante, ebbe inizio una battaglia che durò otto ore. I russi erano riposati, le loro macchine non erano logorate e in più avevano scorte di munizioni al completo. Come se non bastasse, due delle loro brigate erano equipaggiate con i nuovi SU 85, pezzi semoventi da 85 mm che erano stati montati sullo chàssis del T 34 per poter contrastare i Tiger e i nuovi pezzi da 70 del Panther. Per contro i tedeschi erano nella maggior parte dei casi reduci da aspri combattimenti sostenuti in appoggio alle azioni di fanteria del giorno precedente. Molti loro carri erano stati riparati alla meglio, sul campo, dai meccanici ed erano destinati, soprattutto i Panther, a guastarsi di nuovo in breve tempo. Inoltre
Ci era stato detto di aspettarci della resistenza dal pak [batterie anticarro] e da alcuni carri armati sistemati a caposaldo; c’era anche la probabilità di incontrare alcune brigate indipendenti equipaggiate con il più lento tipo KV. In realtà ci trovammo di fronte a una massa apparentemente inesauribile di mezzi corazzati nemici; mai ho avuto un’impressione altrettanto schiacciante della forza e del numero dei russi come in quel giorno. Le nubi di polvere rendevano difficile poter avere aiuto dalla Luftwaffe, e in breve molti T 34, dopo essere penetrati attraverso le nostre linee, scorrazzavano, veloci come topi, su tutto il vecchio campo di battaglia...
A sera i russi erano padroni del campo di battaglia, con le sue preziose cataste di carcasse di carri armati inservibili e di equipaggi feriti. Un violento contrattacco sulla sinistra di Knobelsdorff aveva riportato i russi a Berezovka, e la sfinita Gross Deutschland dovette tornare immediatamente in prima linea per impedire che la 3* Panzer venisse tagliata fuori. Il giorno seguente Hitler mandò a chiamare Manstein e Kluge e disse loro che l’operazione doveva essere immediatamente sospesa. Gli Alleati erano sbarcati in Sicilia e c’era il pericolo che l’Italia venisse eliminata dalla guerra. Kluge convenne che era impossibile continuare, mentre Manstein, con una strana mancanza di realismo, affermò : « ... In nessun modo dovevamo mollare il nemico fino a che le riserve mobili che aveva impegnato non fossero state definitivamente battute. »
Hitler, tuttavia, non gli diede ascolto (e questo fu uno straordinario rovesciamento di parti) e quella sera stessa i tedeschi cominciarono a ritirarsi lentamente sulla linea di partenza. Guderian, che aveva visto distruggere in dieci giorni la sua diletta arma corazzata, si mise a letto con la dissenteria. Solo l’infaticabile Treschkow continuò a darsi da fare. Scorgendo in questa disastrosa sconfitta un fertile terreno nel quale seminare i suoi intrighi, avvicinò Kluge e consigliò al feldmaresciallo di appianare i contrasti con Guderian e di collaborare con lui « per diminuire il potere di Hitler quale comandante supremo », un obiettivo estremamente impreciso che poteva comprendere tutto, dall’assassinio alla semplice riforma costituzionale. Kluge si dichiarò d’accordo purché Guderian « facesse il primo passo ». Allora Treschkow avvicinò Guderian, che frattanto era stato ricoverato in ospedale in attesa di una operazione agli intestini. L’ispettore generale, però, non volle avere niente a che fare con il progetto in quanto
La mia conoscenza del carattere instabile del feldmaresciallo von Kluge mi impedì di accettare...
Fu così che le gelosie personali e i sospetti esistenti fra i generali ebbero una parte notevole nell’impedire una «riforma» interna così come avevano inficiato fin dall’inizio le possibilità di successo delle armi tedesche.
Altri otto mesi erano passati nella breve vita del «Reich millenario».
NOTE:
1 Vi sono alcune discordanze circa il vero contenuto del suggerimento di Model. Interrogato da Liddell Hart, Manstein affermò cLe Model disse a Hitler che l’offensiva era possibile se gli si davano forze adeguate e che ciò dipendeva dalla decisione di Hitler di aspettare i Panther. Ma quando Manstein scrisse le sue memorie non citò affatto Model. Guderian (che non è una fonte imparziale) dice che Model era assolutamente contrario.
2 All’inizio del 1917 il nuovo comandante in capo dell’Esercito francese, generale Nivelle, cominciò a preparare un attacco, da sferrare con 4.4 divisioni francesi, contro un settore vulnerabile delle linee tedesche, tenuto da nove divisioni. I piani vennero trasmessi perfino ai sottufficiali e alcuni, nel febbraio, caddero nelle mani dei tedeschi. In marzo i tedeschi si ritirarono dal saliente vulnerabile e si attestarono dietro la Linea Hindenburg, che venne rinforzata con altre 34 divisioni. Nivelle, nonostante i dubbi manifestatisi nel gabinetto francese e anche fra i suoi colleghi, insistè per sferrare l’attacco contro le nuove posizioni tedesche, ma senza alcuna modifica del piano tattico. Il risultato fu un completo disastro. Un resoconto recente dell’episodio è in Dare Cali It Treason di Richard M. Watt.
In origine Manstein aveva pensato di colpire il saliente di Kursk subito dopo la vittoria di Kharkov, in marzo, ma data l’imminenza del disgelo e la difficoltà di far sì che Kluge esercitasse una pressione corrispondente da nord, il progetto venne accantonato. Venne rispolverato in aprile a una riunione dei capi di Stato Maggiore convocata da Zeitzler al Quartier Generale dell’oKH a Lótzen. In quel momento Manstein era più incline a sferrare un colpo di « contropiede » che avrebbe comportato l’abbandono dell’intero bacino del Donez e una grande offensiva Panzer a sud-est di Kharkov, ma Zeitzler reputò che un attacco contro Kursk sarebbe stato meno rischioso, non avrebbe comportato la necessità di dover sacrificare a priori del terreno e « non avrebbe pesato in modo eccessivo sulle riserve ».
L’11 aprile venne presentato a Hitler un promemoria che consigliava un attacco convergente affidato a Kluge (con la IX armata di Model) e a Manstein (con la IV armata Panzer di Hoth). Il Fuhrer però non sapeva decidersi. Il promemoria di Zeitzler diceva che sarebbero bastate da dieci a dodici divisioni Panzer con relativa fanteria d’appoggio. Hitler pensava che queste forze non fossero sufficienti, e quando Zeitzler disse che erano bastate solo cinque divisioni per riprendere Kharkov, il Fuhrer replicò che quella vittoria era stata conseguita grazie all’impiego dei Tiger « un solo battaglione dei quali valeva una normale divisione Panzer ». Per l’offensiva primaverile, Hitler era deciso a servirsi anche dei Panther.
La discussione si trascinò per alcune settimane, con il Fuhrer sinceramente, così sembra, indeciso e con la produzione dei Panther — che stava subendo una quantità di intralci — limitata ad appena dodici unità alla settimana. Durante il mese di aprile le notizie della discussione cominciarono a diffondersi e influenzarono l’intero alto comando nazista. Jodl, capo dello Stato Maggiore dell’OKW, era contrario all’Operazione Cittadella perchè riteneva che fosse pericoloso impegnare interamente la riserva strategica mentre si profilava la minaccia di nuove crisi nel Mediterraneo. Zeitzler replicava con l’argomento paradossale che la Wehrmacht era in quel momento così debole sul fronte orientale che non poteva rimanere ferma e « aspettare di essere colpita », ma doveva fare qualcosa per costringere i russi a sparare. Nella faccenda entrava anche l’inevitabile elemento personale. Warlimont dice che
Zeitzler non s’interessava di questi problemi più vasti, e il fatto di esserne escluso, come capo di Stato Maggiore dell’OKH, costituiva una fonte continua di risentimento per lui. Comunque sia, egli sollecitò l’esecuzione della « sua » offensiva e si lamentò con Hitler per l’intrusione di Jodl nella sua sfera di competenza.
In realtà lo Stato Maggiore dell’OKW era sempre più escluso dalle questioni che riguardavano il fronte orientale. Avrebbe dovuto essere un organo consultivo superiore, ma era ormai ridotto a poco più di un secondo ufficio operativo dell’Esercito per i teatri di guerra che non fossero quello russo. Un uomo solo, Hitler, conosceva tutti gli elementi dell’intero quadro strategico, mentre le persone che lo consigliavano, su questioni sia militari sia economiche o politiche lo facevano in base a ciò che potevano sapere nell’ambito del loro ufficio. Un risultato di questa situazione fu che nel caso dell’Operazione Cittadella la maggior parte di coloro che la sostenevano erano generali comandanti sul fronte russo, mentre quelli che erano contrari (ad eccezione di Guderian) non conoscevano le cifre dettagliate con cui giostravano i sostenitori dell’operazione per dare maggior forza alle loro argomentazioni.
Se nella divergenza fra Zeitzler e Jodl si celava un risentimento personale, questo era invece ben noto a tutti per quel che riguardava Kluge e Guderian. Anche nelle cerimonie ufficiali i due uomini quasi non si parlavano, e in maggio Kluge scrisse a Hitler chiedendogli il permesso di sfidare a duello l’ispettore generale. Kluge, quale comandante in capo del Gruppo di Armate Centro, era decisamente a favore dell’Operazione Cittadella. L’apparente vittoria da lui riportata su Guderian nel 1941 aveva finito per lasciargli un sapore amaro in quanto, mentre il settore di Kluge era rimasto statico e senza gloria per oltre un anno, Guderian era riemerso dall’ombra con poteri e influenza immensi. Non fu difficile per Kluge e per gli altri che erano gelosi dell’ispettore generale presentare la sua opposizione all’Operazione Cittadella come motivata dalla paura che l’operazione stessa avrebbe potuto condurre a una diminuzione dei suoi poteri di controllo sulle forze corazzate; in tal modo essi poterono ottenere altri consensi all’operazione semplicemente perchè Guderian vi si opponeva.
Nel frattempo Hitler stava facendo dei sondaggi fra i comandanti di prima linea per il tramite di Schmundt e degli assistenti del suo aiutante. Questi sondaggi rivelarono una sorprendente eccezione alla unanimità proclamata da Zeitzler. Infatti Model, che doveva comandare la IX armata sotto Kluge, disse di avere molti dubbi circa le possibilità di successo dell’operazione. La ricognizione aerea e l’attività di pattuglie mostravano che i russi non avevano dubbi circa il luogo e il modo in cui i tedeschi avrebbero colpito e che si preparavano energicamente ad affrontarli.1 A questa obiezione Zeitzler e i fautori del piano risposero cambiando argomentazione. Se i russi stavano veramente per dare battaglia in quel punto, ciò non significava che la zona scelta era di vitale importanza e che una parte notevole delle forze corazzate russe sarebbero' state impegnate nella battaglia?
Nel frattempo le settimane passavano e con l’accumularsi delle forze russe la concezione originale dell’operazione Cittadella stava
inesorabilmente trasformandosi da quella di un attacco breve e violento che doveva mandare all’aria i piani offensivi dei sovietici in quella di una prova di forza che avrebbe deciso l’intero corso della campagna estiva. All’inizio di maggio Hitler era ancora incerto se emanare la Direttiva o no, e pertanto il giorno 3 venne convocata a Monaco una riunione di comandanti di armata e di Gruppi di Armate per discutere le prospettive. Durante questa riunione, che durò due giorni, solo Guderian parlò decisamente contro l’offensiva sotto qualsiasi forma (sebbene egli venisse appoggiato da Speer in una relazione sulle armi e sugli aspetti della produzione). Zeitzler e Kluge erano molto entusiasti e Manstein, « come sempre quando si trovava a faccia a faccia con Hitler, non era nelle condizioni migliori ». Il comandante del Gruppo di Armate Sud riuscì a dire solo che le probabilità di successo « sarebbero state eccellenti in aprile », ma che in quel momento gli riusciva difficile formarsi una opinione. In realtà, i migliori argomenti contro l’operazione vennero addotti dallo stesso Hitler, il quale aprì la discussione con un conciso riassunto del rapporto di Model e concluse dicendo : « Model è giunto a una conclusione giusta... e cioè che il nemico contava che noi sferrassimo questo attacco e che per raggiungere il successo dobbiamo adottare un nuovo criterio tattico. »
Tuttavia Hitler non voleva ancora prendere una decisione definitiva e, con espediente dilatorio caratteristico, tornò alla questione dei Panther. Una inchiesta mostrava che solo circa 130 di questi carri armati erano stati effettivamente completati e di questi meno di 100 erano stati consegnati. Il piano originale di produzione prevedeva che per la fine di maggio avrebbero dovuto essere pronte 250 unità. Speer chiarì che le prime difficoltà incontrate erano state superate e che l’obiettivo di 250 unità poteva essere comodamente superato, e che per il 31 maggio sarebbero stati disponibili 324 carri armati. Ciò significava che, se i Panther dovevano essere impiegati in misura consistente, l’offensiva avrebbe dovuto essere rinviata fino a giugno. Venne fissata una data approssimativa, il 23 giugno, sulla quale, in attesa della decisione finale, si potessero preparare dei piani contingenti.
Le cifre suddette vennero esibite in una riunione a parte sulla produzione dei carri armati tenuta alla Cancelleria il io maggio, una settimana dopo la discussione di Monaco. Fu appunto alla fine di questa riunione che Guderian avvicinò Hitler ed ebbe luogo la famosa conversazione nel corso della quale Hitler ammise che la sola idea dell’operazione Cittadella « gli faceva rivoltare lo stomaco ». Notevolmente agitato, Guderian aveva chiesto a Hitler perchè volesse attaccare in Oriente nel 1943. Keitel era allora intervenuto dicendo : « Dobbiamo attaccare per ragioni politiche », al che Guderian replicò: « Quanta gente pensate che sappia dove sia Kursk? Il mondo se ne infischia profondamente se noi teniamo o non teniamo Kursk... » Al che Hitler, dopo aver confessato i propri timori, disse di non essersi « ancora deciso ».
Se i generali che erano favorevoli all’Operazione Cittadella avessero saputo la verità circa i preparativi dei russi, non sarebbero stati così entusiasti. La prima valutazione del piano tedesco era stata fatta da Vatutin fin dall’aprile e prevedeva con notevole intuito l’aspetto finale dell’operazione. Nei due mesi successivi, i russi accumularono sui fianchi del saliente cannoni e carri armati con un ritmo notevolmente superiore a quello tenuto dal concentramento tedesco.
Per coordinare i tre « fronti » interessati e per preparare il piano di una controffensiva che entrasse in azione non appena l’impeto dell’attacco tedesco fosse diminuito, lo Stavka aveva mandato a Kursk alla fine di aprile Zukov e Vasilievski. Essi previdero che il peso principale dell’attacco sarebbe ricaduto sul « fronte di Voronezh » di Vatutin, davanti a Belgorod, e pertanto schierarono in quel settore due armate veterane dei combattimenti di Stalingrado, la XXI e la LXIV (ora ribattezzate VI e VII armata Guardie) e una fortissima unità carristi, la I armata corazzata. Il grosso del saliente, compreso l’angolo settentrionale di fronte a Model, si trovava nell’ambito del « fronte centrale » di Rokossovski e ricevette continui rinforzi di artiglieria, fino a che, alla fine di giugno, vi si trovarono ammassati più reggimenti di artiglieria che di fanteria, raggiungendosi in quel settore la cifra favolosa di oltre 20.000 pezzi, di cui 6000 cannoni anticarro da 76,2 mm e 920 lanciarazzi multipli « Katiuscia ». Le mine anticarro e antiuomo raggiungevano la densità di oltre 4000 su poco più di un chilometro e mezzo. Tutte le unità schierate a difesa vennero accuratamente istruite sul modo di reagire all’atteso attacco tedesco. Un capitano dell’Armata Rossa scrisse che la sua brigata
... contemplava cinque possibili posti nei quali essi [i tedeschi] avrebbero potuto colpire, e per ciascuno di questi posti noi sapevamo accanto a chi avremmo combattuto, quali sarebbero stati i rincalzi e i posti di comando. La brigata è dislocata più indietro, ma le trincee e i ripari sono più avanti, e sappiamo qual è la via che dovremo percorrere per raggiungerli. Il terreno, sul quale abbiamo fatto delle ricognizioni topografiche, è cosparso di segnali indicatori. Conosciamo la profondità dei corsi d’acqua e il carico massimo dei ponti. I collegamenti con la divisione sono stati raddoppiati, sono stati previsti codici e sistemi di segnalazione. I nostri uomini, che vengono spesso posti in stato di allarme di giorno e di notte, si sono familiarizzati con il loro compito in ogni eventualità...
Questa fiducia e questa sicurezza quanto al ruolo da svolgere e agli obiettivi da raggiungere erano precise non solo nei comandi del « fronte », ma anche nei più piccoli reparti di prima linea. Dopo che il saliente fu consolidato, i rinforzi vennero diretti ai fronti « occidentale » e di « Bryansk », posti agli ordini di Popov e Sokolovski, che dovevano tenersi pronti a colpire il fianco sinistro di Model nel saliente di Orel quando Zukov avesse ritenuto giunto il momento di farlo. Venne creato agli ordini di Koniev un nuovo « fronte di riserva » chiamato il « fronte della steppa » al quale si dovevano attingere le unità fresche da inviare nei punti critici dopo l’inizio della battaglia e che doveva servire per lo sfruttamento del successo che Zukov e Vasilievski erano convinti sarebbe venuto una volta che l’impeto tedesco si fosse esaurito. La maggior parte delle forze corazzate russe vennero integrate nelle forze di difesa con funzione di appoggio ravvicinato, ma una fortissima unità, la V armata corazzata, venne tenuta indietro nel fronte di Koniev per un’azione veloce contro i Panzer nel caso che questi dovessero sfondare. Bisogna dire che ben poche operazioni belliche di vasta portata, sin dal tempo della disastrosa « offensiva Nivelle » dell’aprile 1917,2 furono mai previste con tanto anticipo e con tanta precisione quanto l’attacco tedesco contro Kursk nel 1943. La nuova atmosfera che regnava nell’Armata Rossa venne riassunta da un capitano carrista, il quale dichiarò : « All’inizio della guerra si faceva tutto in fretta e non c’era mai tempo. Ora andiamo in azione con calma. »
Per quanto possa sembrare paradossale, mentre i preparativi russi si svolgevano con tanta energia e metodicità, dalla parte dei tedeschi si verificavano continui indugi e c’erano voci di mutamenti e di rinvii. Venne giugno e l’obiettivo Panther fu puntualmente raggiunto. Ma ormai i rapporti sui preparativi dei russi erano così allarmanti che venne deciso di aspettare la produzione di altre tre settimane, il che avrebbe consentito di mandare alle divisioni di Model, al nord, altri due battaglioni di Panther oltre a quelli aggregati all’XI Panzer, alla Gross Deutschland, e alle tre divisioni del corpo d’armata Panzer ss di Hausser. Ciò significava che l’inizio dell’attacco doveva essere nuovamente rinviato dalla seconda settimana di giugno all’inizio di luglio. Manstein uscì allora dal suo riserbo e dichiarò che l’operazione non era più fattibile e che doveva essere abbandonata, ma ormai era troppo tardi. Il fronte unito dello Stato Maggiore Generale, formato da Keitel, Zeitzler e Kluge, era riuscito finalmente a persuadere il Fiihrer, il quale una volta che aveva preso una decisione non la cambiava più. L’ora X venne fissata per il 4 di luglio, « il giorno dell’indipendenza americana », osservò malinconicamente il capo di Stato Maggiore del XLVIII corpo d’armata Panzer, « l’inizio della fine della Germania ».
Dati i precedenti timori che aveva nutrito, c’è da presumere che Hitler, acconsentendo ad autorizzare l’Operazione Cittadella, non fosse guidato da considerazioni puramente tattiche, ma quali fossero queste considerazioni non lo si sa di preciso. Alcuni osservatori, in particolare Warlimont, credono che l’avversione patologica del Fiihrer per le ritirate venne sfruttata da Zeitzler, il quale sostenne che quella era la sola alternativa. Gli argomenti di Jodl circa i pericoli che minacciavano il teatro d’operazione del Mediterraneo e le voci della instabilità di Mussolini in Italia, servirono a far considerare l’importanza vitale di far bloccare ogni possibilità anche lontana di un avvicinamento dei russi ai Balcani. Ma ci fu anche l’effetto ipnotico che la prospettiva di una grande battaglia dovette avere su tutti coloro che erano coinvolti nella sua preparazione. I generali sostenevano, con ragione, di essere sempre riusciti a perforare le posizioni russe al primo colpo; era stato semmai più tardi, quando l’impeto dei carri armati si esauriva negli spazi sterminati delle pianure, che erano cominciate le difficoltà. Questa volta essi avevano limitato il loro scopo, appena centodieci chilometri, meno di sessanta chilometri per ogni braccio della tenaglia! Senza dubbio questa impresa era alla portata di truppe che, nelle precedenti campagne, con una sola puntata in avanti, avevano conquistato centinaia di chilometri. La potenza di fuoco e la mobilità delle forze attaccanti sarebbe stata maggiore che nel 1941 o ’42, il loro grado di concentramento molto più alto, i loro obiettivi incomparabilmente meno ambiziosi. E non era forse vero che nessuna forza sulla terra poteva resistere al primo urto dell’Esercito tedesco in fase offensiva?
Senza dubbio, giudicato su qualsiasi metro che non fosse quello delle opposte formazioni sovietiche, l’ordine di battaglia dei tedeschi, quando finalmente prese forma negli ultimi giorni di giugno del 1943, appariva veramente formidabile. Togliendo al resto del fronte la sua protezione di forze corazzate, il numero delle divisioni Panzer era stato portato, dalle dieci originariamente assegnate, a diciassette. Nella IX armata, Model aveva non meno di tre corpi d’armata Panzer e due corpi d’armata di fanteria d’appoggio. All’ala meridionale, la IV armata Panzer di Hoth era la più forte unità che fosse mai stata affidata ad un unico comandante nell’Esercito tedesco. Il suo fronte d’attacco, fiancheggiato da tre corpi d’armata di fanteria, comprendeva da ovest a est 3* Panzer, Gross Deutschland, 11a Panzer ss Leibstandarle, ss Das Reich, ss Totenkopf, 6a Panzer, 19a Panzer, 7a Panzer — nove delle migliori divisioni dell’Esercito tedesco schierate a spalla a spalla su nemmeno 50 chilometri di fronte!
Negli ultimi giorni prima dell’attacco una strana sensazione, non tanto di fiducia quanto di fatalismo, si impadronì delle truppe corazzate tedesche : se questa forza, questa enorme massa che circondava i russi da ogni parte, non riusciva a schiacciarli, allora nessuno ci sarebbe riuscito. Obbedendo alle norme di sicurezza, che però il Servizio Informazioni russo aveva scoperto da tempo, gli ufficiali Panzer si toglievano le uniformi nere prima di ispezionare le posizioni avanzate per un’ultima ricognizione. Guardando attraverso la terra di nessuno in direzione delle linee nemiche, essi vedevano
... una estesa pianura interrotta da numerose vailette, da piccole boscaglie, da villaggi irregolarmente sparsi con le case dai tetti di paglia, da alcuni fiumi e torrenti; fra questi c’era il Pena, che scorreva veloce tra due ripide sponde.
II terreno si alzava leggermente verso nord favorendo così i difensori. Estesi campi di granoturco coprivano il terreno rendendo difficile la visibilità.
Questo era il terreno sul quale sarebbe stata combattuta l’ultima grande offensiva dell’Esercito tedesco all’Est; la più importante battaglia di carri armati della storia e uno degli scontri più impegnativi e più aspri della seconda guerra mondiale.
Il 2 luglio lo Stavka aveva avvisato i comandanti al fronte di aspettarsi l’attacco in qualsiasi momento, fra il 3 e il 6, e nella notte fra il 3 e il 4 un disertore cecoslovacco di un battaglione genieri del LII corpo d’armata riferì che a tutti i reparti era stata fatta una distribuzione extra di acquavite ed erano state date razioni per cinque giorni. Giudicando che l’attacco fosse imminente, Vatutin ordinò il bombardamento delle posizioni avanzate tedesche e dei punti di concentramento, bombardamento che venne effettuato con notevole intensità per quattro ore dall’artiglieria di medio calibro russa, mentre l’artiglieria anticarro aveva ordini severi di non sparare. Mentre subivano questo trattamento distruttivo, che non lasciava presagire nulla di buono, da parte delle artiglierie sovietiche, i soldati tedeschi in attesa di scattare all’attacco ricevettero un messaggio personale del Fuhrer:
Soldati del Reich!
Oggi voi dovete prendere parte a una offensiva di tale importanza che tutto il futuro della guerra può dipendere dal suo risultato. Più di qualsiasi altra cosa, la vostra vittoria dimostrerà al mondo intero che è impossibile resistere alla potenza dell’Esercito tedesco.
Quella curiosa mancanza di immaginazione e di duttilità che è una caratteristica ricorrente della mentalità militare tedesca, e la cui influenza sulla progettazione tattica dell’operazione Cittadella è stata già rilevata, diventò in breve evidente anche nella fase esecutiva. Ancora una volta i calcoli vennero basati sulla vecchia formula della Blitzkrieg — Stuka, un breve e intenso bombardamento di artiglieria, masse di carri armati e di fanteria in stretto contatto — senza tener conto delle mutate condizioni, fatta eccezione per un semplice aumento aritmetico delle forze e dei rispettivi elementi componenti.
Alle due del pomeriggio, i carri armati tedeschi, circa duemila nella prima ondata, uscirono fuori dai sentieri incassati e dalle balkas asciutte dove erano rimasti in agguato e avanzarono lentamente con i portelli chiusi attraverso il mare di messi verdi e gialle della valle superiore del Donez.
Mentre avanzavamo, l’artiglieria russa arava il terreno intorno a noi [scrisse il radiotelegrafista di un Tiger]. Ivan, con la solita furberia, non aveva sparato nelle settimane precedenti e nemmeno quella mattina, quando i nostri cannoni lo bombardavano. Ma ora tutta la linea del fronte era una girandola di lampi. Sembrava come se avanzassimo in un anello di fuoco. Per quattro volte il nostro bravo « Ronzinante » sussultò sotto un colpo diretto, e noi ringraziammo il fato per la robustezza del nostro buon acciaio Krupp.
I tedeschi cominciarono l’attacco in condizioni di virtuale parità, per quello che riguardava le forze corazzate (sebbene nessun resoconto tedesco lo ammetta) e di chiara superiorità per quello che riguardava i Tiger e i Panther, ma l’artiglieria russa era incomparabilmente più forte per potenza, numero e modo d’impiego. I cannoni di Manstein non erano riusciti nè a saturare la prima fascia difensiva russa nè ad aprire molti varchi attraverso i campi minati. Il risultato fu che molti carri armati vennero danneggiati dalle mine nel primo chilometro e in breve furono superati dalla fanteria d’appoggio. Gli equipaggi Panzer avevano ricevuto ordini severissimi affinchè
... in nessun caso i carri si fermeranno per aiutare quelli che sono stati danneggiati. Il recupero è compito esclusivamente dei reparti genieri. I comandanti carristi devono avanzare verso l’obiettivo finché sono in condizione di muoversi. Se un carro viene immobilizzato ma il pezzo è efficiente (cioè, se si verifica un incidente meccanico o se vengono danneggiati i cingoli), l’equipaggio continuerà ad effettuare un tiro d’appoggio da fermo.
Questa era in pratica una sentenza di morte per gli equipaggi dei carri danneggiati, in quanto i cannoni russi erano così fitti sul terreno che, dopo pochi minuti che un Panzer aveva urtato contro una mina, riuscivano a centrarlo in pieno. C’erano anche speciali squadre di fanteria anticarro che erano state scaglionate nelle trincee in mezzo ai campi minati e che, come si vedrà, agirono con particolare successo a nord contro Model.
La tattica tedesca era quella di avanzare con una successione di cunei corazzati — chiamati Panzerkeile — con i Tiger ammassati sulla punta del cuneo e i Panther e i PzKw iv aperti a ventaglio più indietro. La fanteria con l’armamento leggero di carabine e bombe a mano si muoveva subito dietro i carri armati, mentre alla base del cuneo avanzavano con i semicingolati forze più pesanti armate di mortai. Questa tattica comportava il ripudio della concezione tradizionale dell’armata Panzer intesa come una spada da usare per una stretta e profonda penetrazione nelle retrovie nemiche, sostituendola con il concetto dell’ascia che doveva sfondare il fronte nemico per una considerevole lunghezza. Questo mutamento era stato imposto ai tedeschi dalla tenacia con cui l’Armata Rossa difendeva i lati delle brecce, e dall’aumento della potenza di fuoco dei russi nell’ultimo anno, il che rendeva troppo pericolosa l’azione indipendente dei Panzer, per lo meno nelle prime fasi della battaglia.
Sia Model che Manstein usavano infatti la stessa tattica impiegata da Montgomery a El Alamein, iniziando la battaglia con le forze corazzate in funzione di appoggio della fanteria, nella speranza che rimanessero abbastanza carri efficienti per sfruttare il successo una volta che la breccia fosse stata aperta. Ma qui, diversamente da quello che era accaduto a El Alamein, la forza dei difensori era pari a quella degli attaccanti, e il modo in cui essi si erano preparati alla battaglia consentiva loro di tenere in riserva per l’ultima fase del combattimento una forte percentuale di forze corazzate.
I russi avevano escogitato un metodo di concentramento di fuoco, chiamato dalle truppe tedesche Pakfront, basato sull’impiego di gruppi di un massimo di dieci cannoni anticarro posti sotto un unico comandante, i quali concentravano il fuoco su un singolo bersaglio alla volta. I campi minati erano stati preparati in modo da convogliare i carri armati attaccanti nel campo di tiro di questi gruppi, che erano scaglionati in profondità per oltre otto chilometri. Poiché era presumibile che ad ogni salva venisse colpito un carro armato, si può vedere come i Panzer dovessero sopportare dure perdite prima di poter liquidare i serventi al pezzo e raggiungere gli obiettivi iniziali.
Nell’ordine di operazioni era stato precisato che i carri armati non dovevano liquidare da soli tutte le posizioni dell’artiglieria russa, ma dovevano lasciare questo compito alla fanteria d’accompagnamento, sebbene, naturalmente, essi dovessero rispondere al fuoco dei cannoni che li impegnavano. L’inconveniente di questo piano era costituito dal fatto che la forza e la profondità del Pakfront era stata di molto sottovalutata e che a loro volta i cannoni russi erano protetti da mitragliatrici e nidi di mortai con ordini severissimi di sparare solo sulla fanteria tedesca e cioè in appoggio alla propria batteria.
Il risultato fu che solo nella tarda serata apparve evidente la estensione delle difese russe, quando cioè il Panzerkeile si era già malamente smussato. La grande maggioranza dei cannoni anticarro russi erano i soliti 76,2/30, un’arma che era in grado di perforare la corazza frontale del Tiger solo sparando a zero; pertanto, molti di quei mostruosi carri armati riuscirono a passare attraverso la prima fascia di difese con danni appena superficiali. Alle loro spalle, però, i PzKw IV avevano subito gravi danni e molti Panther erano andati distrutti o erano rimasti danneggiati sui campi di mine. La sera cadde sul campo di battaglia sorprendendo la massa delle forze attaccanti ancora impegolate in mezzo alle posizioni dell’artiglieria e alle trincee della prima fascia, mentre alcuni gruppi isolati di Tiger erano penetrati a fondo nella zona principale di difesa russa. Durante la notte, gruppi di Panzergrenadiere strisciarono attraverso il campo di battaglia cercando di raggiungere i carri isolati per dare loro una certa protezione; le brevi ore di oscurità furono continua-mente interrotte dalle luci abbaglianti dei razzi al magnesio e Very, dai fasci dei proiettili traccianti e dalle fiammate arancione dei Flammenwerfer che venivano a contatto con le squadre anticarro e le pattuglie di fanteria russe.
Alle quattro di mattina del 5 luglio il sole si levò su un campo di battaglia che sembrava un classico esempio di guerra di posizione, come se la grande guerra non fosse mai terminata dal 1917, mentre solo l’equipaggiamento più perfezionato stava ad indicare il tempo trascorso. Nubi di fumo scuro, provenienti dai campi di grano che bruciavano e dai tetti di paglia dei villaggi, attraversavano il campo di battaglia spinte da una leggera brezza proveniente da ovest; qua e là si levava il fumo nero e denso dei carri armati che bruciavano; il continuo crepitio delle armi portatili era sovrastato dall’intenso cannoneggiamento dei pezzi da 76 russi e dal sibilo dei razzi « Katiuscia »; di quando in quando, il forte rombo dei pezzi da 88 faceva capire che i Tiger, a cinque-sei chilometri di distanza, si stavano difendendo. Il terribile sforzo compiuto dalla fanteria durante la notte aveva fruttato ai tedeschi il controllo della prima fascia di difese russe, per lo meno nel senso di ridurre al silenzio i cannoni anticarro piazzati colà; rimanevano ancora, tuttavia, molti cecchini che sparavano ai genieri intenti a bonificare i campi di mine. Era ancora quasi impossibile avanzare contro la seconda e più forte fascia difensiva, il cui fuoco di artiglieria, concentrato sui punti che i tedeschi avevano ora occupato, produceva notevoli danni. I russi avevano spostato in avanti molti carri armati durante la notte e li avevano fatti attestare su posizioni defilate che erano state preparate nelle settimane precedenti la battaglia. Ciò fece sì che il secondo giorno la loro potenza di fuoco fosse quasi pari a quella che era stata nel primo giorno, nonostante l’eliminazione della linea di difesa avanzata. Le linee tedesche, al contrario, si erano allungate fra le compagnie avanzate dei Tiger, i cui rapporti e le cui richieste di aiuto giungevano incessantemente attraverso la radio a onde corte, e i Panzerkeile mozzati che cercavano di riformarsi per un secondo attacco.
Dei due bracci che dovevano convergere attraverso la base del saliente lunga circa cento chilometri, quello di Model si trovava in condizioni peggiori. Era infatti qui, nel settore settentrionale, che erano stati impiegati i novanta Porsche Ferdinand quali punte di lancia per l’attacco del XLVII corpo d’armata Panzer. Come gli Henschel Tiger delle ss a Belgorod, essi riuscirono a perforare il sistema difensivo russo con poca difficoltà grazie alla loro pesante corazzatura. Ma nel giro di poche ore dalla loro apparizione la fanteria russa aveva scoperto che questi mostri non avevano un armamento secondario. Spaventosamente efficaci contro i T-34, formidabili contro le postazioni d’artiglieria, erano però inutili contro la fanteria trincerata. In breve rimasero indietro ai carri armati leggeri che li scortavano e che avevano dato loro la protezione delle proprie mitragliatrici e, uno dopo l’altro, caddero vittime dei gruppi di fanteria sovietica che saltavano sullo scafo dei carri in movimento e infilavano i lanciafiamme nei fori di ventilazione sopra il motore. Guderian espresse questo giudizio:
Erano inadatti al combattimento a corta distanza perchè non avevano sufficiente munizionamento [cioè di proiettili ad alto esplosivo e perforanti] per i loro cannoni, e questo difetto era aggravato dal fatto che non possedevano mitragliatrici. Una volta che erano penetrati [i Ferdinand] nella zona della fanteria nemica, dovevano letteralmente andare a caccia di quaglie col cannone. Essi non riuscirono a neutralizzare, non parliamo di distruggere, i fucili e le mitragliatrici del nemico, e così la nostra fanteria non fu in grado di seguirli. Quando raggiungevano l’artiglieria russa, erano soli. Nonostante il grande coraggio dimostrato e le eccezionali perdite subite, la fanteria della divisione di Weidling non riuscì a sfruttare il successo dei carri armati...
Nemmeno l’avvento dei Panther ebbe gli effetti che erano stati sperati. Il capo di Stato Maggiore del XLVIII corpo d’armata Panzer riferì che essi
... non furono pari alle aspettative. Prendevano fuoco facilmente perchè i serbatoi di carburante e di lubrificante erano poco protetti e gli equipaggi erano insufficientemente addestrati.
Dopo ventiquattr’ore di combattimenti, il fronte russo era stato intaccato solo in un posto — la parte centro-sinistra del fronte di attacco di Manstein — dalle forze combinate del XLVIII corpo d’armata Panzer e delle ss. Qui i russi erano stati respinti, attraverso una fascia difensiva profonda circa quattro chilometri, fino a una linea formata da quattro villaggi disposti lungo un corso d’acqua: Sawidowka-Rakowo, Alexeyevka, Luchanino e Ssyrzew. Durante la notte i Panzergrenadiere erano riusciti a ripulire le case sul lato meridionale e Hoth decise di forzare il passaggio del corso d’acqua alle prime luci del 5 luglio con la 3a Panzer e la Gross Deutschland. Ma durante la notte un temporale fece alzare considerevolmente il livello delle acque e aumentò l’ampiezza del corso d’acqua trasformando i campi sulle due sponde in una palude fangosa. Col favore delle tenebre, i russi avevano spostato carri armati e cannoni fra gli edifici e le macerie della sponda opposta, e le due divisioni Panzer vennero prese sotto il fuoco diretto mentre si radunavano in formazione compatta nella mattinata. Durante il giorno i genieri cercarono, al riparo di una instabile cortina fumogena, di gettare dei ponti. Sulle loro teste infuriava un accanito duello d’artiglieria fra i cannoni russi e i carri armati ammassati dalla 3a Panzer e dalla Gross Deutschland, con l’intervento degli Stuka che però solo in parte compensava per Hoth la mancanza di artiglieria pesante. Al cadere della notte i tedeschi avevano subito gravi perdite e non avevano avanzato di un metro. Durante la notte fra il 5 e il 6 luglio, entrambe le divisioni vennero ritirate e riorganizzate. I russi erano riusciti con un contrattacco a riconquistare parte di Sawi-dowka, e la 3a Panzer venne spostata all’ala sinistra per riprendere il villaggio e attraversare il corso d’acqua alla sua confluenza con il Pena; l’11a Panzer si schierava alla destra della Gross Deutschland nel tentativo di aprire una breccia fra Luchanino e Ssyrzew: una impresa che si sperava sarebbe stata facilitata dall’avanzata della ss Leibstandarte e della ss Das Reich, che avevano faticosamente avanzato per circa sette chilometri alla destra del XLVIII corpo d’armata Panzer.
Il 7 luglio, quarto giorno dell’attacco, il terreno si era di nuovo asciugato abbastanza da permettere ai mezzi corazzati tedeschi di attraversare il corso d’acqua, e la Gross Deutschland prese Ssyrzew. Contemporaneamente, gli attacchi della 3a Panzer stavano lentamente scalzando i difensori dalle loro posizioni sul Pena. Durante la serata, il fuoco russo si indebolì e il XLVIII corpo d’armata Panzer riuscì ad attraversare il corso d’acqua. Hoth aveva ora superato quasi per metà la zona di difesa russa e si trovava davanti alla principale « linea dell’artiglieria ». Alla destra del XLVIII corpo d’armata Panzer, le tre divisioni ss di Hausser erano penetrate abbastanza profondamente, ma a differenza di quanto aveva fatto Kno-belsdorff, il comandante ss non era riuscito a fare arretrare l’intero fronte russo; invece, ciascuna divisione aveva praticato una sua breccia attraverso la quale aveva avanzato a fatica verso nord, presa continuamente d’infilata sui fianchi. Il 9 luglio fu chiaro a Hoth che il momento critico della battaglia si stava avvicinando, in quanto la maggior parte delle sue truppe era rimasta in azione senza respiro per cinque giorni. Le razioni e le munizioni con cui avevano cominciato la battaglia stavano diminuendo, e l’intensità del fuoco russo rendeva estremamente diffìcile effettuare le riparazioni e i rifornimenti indispensabili per le forze corazzate. L’unico sprazzo di luce sembrava venire dal settore centrale del fronte di Knobelsdorff, dove la Gross Deutschland era riuscita a respingere un gruppo di combattimento attraverso il villaggio di Gremutshy, che si trovava in mezzo alla zona principale di difesa russa. Durante il pomeriggio e la sera del 9 luglio, il generale Walter Hoernlein, il comandante, cercò di inseguire il gruppo di combattimento con il reggimento Panzergrenadiere e con circa quaranta carri armati, che cominciò a spingere verso occidente, dietro la linea dell’artiglieria russa, con l’intenzione di mettere in crisi le difese che tenevano in scacco il fianco sinistro del corpo d’armata Panzer. Questa operazione fu coronata dal successo nella nottata quando i russi si ritirarono da Rakowo, dove avevano sbarrato la strada alla 3a Panzer, e lasciarono libero il fianco destro di Knobelsdorff, il che consentì all’i ia Panzer di effettuare un congiungimento con la ss Leibstandarte.
Durante quella stessa notte Hoth si era consultato con Manstein e la mattina del io egli disse a Hausser e Knobelsdorff di rastrellare la breccia con i semoventi e i Panzergrenadiere e di ammassare tutti i carri armati efficienti disponibili per quello che egli sperava sarebbe stato un attacco di sfondamento contro la linea russa fra Kruglik e Novoselovka. Per due giorni la fanteria della 3a Panzer e della Gross Deutschland cercò di costringere i russi ad effettuare una conversione all’indietro. Nel corso di continui e selvaggi combattimenti, i tedeschi ripulirono il gruppo di villaggi che si trovava a cavallo del Pena e la sera dell’ 11 erano riusciti a far indietreggiare i russi superstiti nei boschi al di sopra di Berezovka. Era stato così scavato nelle posizioni di Vatutin un saliente rettangolare di circa quindici per venticinque chilometri: magro risultato dopo gli sforzi e le perdite di una settimana di combattimenti, ma sufficiente tuttavia per consentire ai comandanti delle unità carriste di riorganizzarsi fuori della portata dell’artiglieria sovietica. Quella notte la Gross Deutschland venne ritirata dalla linea del fronte e sostituita con la 3a Panzer.
Sul fronte di Hausser non era stato raggiunto nemmeno questo modesto risultato. La fanteria ss era così duramente impegnata a proteggere i fianchi della divisione, che i singoli comandanti ebbero grande difficoltà a disimpegnare i carri armati dalle estremità delle diverse punte avanzate. L’11 la Das Reich e la Leibstandarte riuscirono ad affettuare un congiungimento, ma la Totenkopf era ancora isolata ed era alle prese con i russi che si mostravano inclini ad uccidere tutti i prigionieri che portassero i suoi distintivi. Questa fu l’ultima e più accanita lotta combattuta da unità ss puramente tedesche. Dopo l’Operazione Cittadella, Himmler ammise nei ranghi del suo esercito una quantità sempre crescente di reclute provenienti dai paesi occupati e la schiuma dei criminali provenienti dalle prigioni civili del Reich. Ma gli uomini che combatterono a Kursk erano tutti passati per la dura scuola di Bad Tòlz, il cui regime era tale che le reclute ne uscivano
... come se fossero state appena scartate per essere appese a un albero di Natale: incredibilmente rosee, fresche e teutoniche, con le tasche ben tese che contenevano solo una modesta scorta di cartamoneta che non gonfiava, il ruolino, il fazzoletto piegato come voleva il regolamento e un preservativo.
Dopo aver prestato giuramento nelle ss, le reclute dovevano frequentare la scuola di guerra corazzata dove «... dovevano imparare a scavarsi le buche da soli, sapendo che dentro un determinato tempo i carri armati sarebbero passati sulle loro teste, sia che la buca fosse stata completata o no. Agli allievi ufficiali poteva essere richiesto di tirar via la linguetta di sicurezza di una bomba a mano, tenere l’ordigno in equilibrio sull’elmetto e rimanere sull’attenti mentre esplodeva ».
Ora questi uomini si trovavano a faccia a faccia con l'Untermensch e scoprivano con grande sorpresa che il nemico era bene armato, astuto e coraggioso quanto loro.
Nonostante che le loro posizioni a sud fossero state intaccate, Zukov e Vasilievski non potevano non essere soddisfatti della situazione la notte dell’11 luglio. Il fatto di essere riusciti a bloccare l’attacco di Model li aveva lasciati liberi di fronteggiare Hoth, e inoltre tutta la loro riserva corazzata, la V armata corazzata, non era stata ancora impegnata. Rendendosi conto che la prova finale di forza con i Panzer sarebbe avvenuta entro le successive ventiquattro ore, Zukov mise questa unità corazzata agli ordini di Vatutin, e durante la notte fra l’11 e il 12 tutta l’unità si spostò in avanti per fronteggiare l’attesa irruzione del XLVIII corpo d’armata Panzer e delle ss di Hausser. Al tempo stesso, venne ordinato a Sokolovski di condurre la serie di contrattacchi che lo Stavka aveva previsto contro il saliente di Orel sullo sguarnito fianco sinistro di Model; Popov avrebbe dovuto seguirlo dopo quarantotto ore.
Tutto questo, naturalmente, non era noto a Hoth, ma i rapporti della 3a Panzer indicavano che la difesa russa fra Kruglik e Novose-lovka andava irrigidendosi di ora in ora e che l’attività del nemico contro il suo fianco sinistro era in aumento. Senza curarsi delle condizioni di Hausser e Knobelsdorff, il comandante della IV armata Panzer era deciso a spingere i suoi mezzi corazzati in campo aperto prima che si potesse formare una scaglia di protezione sulla sottile membrana delle ultime difese russe. Il 12 luglio l’intera forza mobile, racimolata fra le tre forze di Kempf, Hausser e Knobelsdorff, in tutto circa seicento carri armati, iniziò la sua marcia della morte. Prima di mezzogiorno venne stabilito il contatto con le truppe corazzate della V armata sovietica e, sotto una gigantesca nube di polvere, in un caldo asfissiante, ebbe inizio una battaglia che durò otto ore. I russi erano riposati, le loro macchine non erano logorate e in più avevano scorte di munizioni al completo. Come se non bastasse, due delle loro brigate erano equipaggiate con i nuovi SU 85, pezzi semoventi da 85 mm che erano stati montati sullo chàssis del T 34 per poter contrastare i Tiger e i nuovi pezzi da 70 del Panther. Per contro i tedeschi erano nella maggior parte dei casi reduci da aspri combattimenti sostenuti in appoggio alle azioni di fanteria del giorno precedente. Molti loro carri erano stati riparati alla meglio, sul campo, dai meccanici ed erano destinati, soprattutto i Panther, a guastarsi di nuovo in breve tempo. Inoltre
Ci era stato detto di aspettarci della resistenza dal pak [batterie anticarro] e da alcuni carri armati sistemati a caposaldo; c’era anche la probabilità di incontrare alcune brigate indipendenti equipaggiate con il più lento tipo KV. In realtà ci trovammo di fronte a una massa apparentemente inesauribile di mezzi corazzati nemici; mai ho avuto un’impressione altrettanto schiacciante della forza e del numero dei russi come in quel giorno. Le nubi di polvere rendevano difficile poter avere aiuto dalla Luftwaffe, e in breve molti T 34, dopo essere penetrati attraverso le nostre linee, scorrazzavano, veloci come topi, su tutto il vecchio campo di battaglia...
A sera i russi erano padroni del campo di battaglia, con le sue preziose cataste di carcasse di carri armati inservibili e di equipaggi feriti. Un violento contrattacco sulla sinistra di Knobelsdorff aveva riportato i russi a Berezovka, e la sfinita Gross Deutschland dovette tornare immediatamente in prima linea per impedire che la 3* Panzer venisse tagliata fuori. Il giorno seguente Hitler mandò a chiamare Manstein e Kluge e disse loro che l’operazione doveva essere immediatamente sospesa. Gli Alleati erano sbarcati in Sicilia e c’era il pericolo che l’Italia venisse eliminata dalla guerra. Kluge convenne che era impossibile continuare, mentre Manstein, con una strana mancanza di realismo, affermò : « ... In nessun modo dovevamo mollare il nemico fino a che le riserve mobili che aveva impegnato non fossero state definitivamente battute. »
Hitler, tuttavia, non gli diede ascolto (e questo fu uno straordinario rovesciamento di parti) e quella sera stessa i tedeschi cominciarono a ritirarsi lentamente sulla linea di partenza. Guderian, che aveva visto distruggere in dieci giorni la sua diletta arma corazzata, si mise a letto con la dissenteria. Solo l’infaticabile Treschkow continuò a darsi da fare. Scorgendo in questa disastrosa sconfitta un fertile terreno nel quale seminare i suoi intrighi, avvicinò Kluge e consigliò al feldmaresciallo di appianare i contrasti con Guderian e di collaborare con lui « per diminuire il potere di Hitler quale comandante supremo », un obiettivo estremamente impreciso che poteva comprendere tutto, dall’assassinio alla semplice riforma costituzionale. Kluge si dichiarò d’accordo purché Guderian « facesse il primo passo ». Allora Treschkow avvicinò Guderian, che frattanto era stato ricoverato in ospedale in attesa di una operazione agli intestini. L’ispettore generale, però, non volle avere niente a che fare con il progetto in quanto
La mia conoscenza del carattere instabile del feldmaresciallo von Kluge mi impedì di accettare...
Fu così che le gelosie personali e i sospetti esistenti fra i generali ebbero una parte notevole nell’impedire una «riforma» interna così come avevano inficiato fin dall’inizio le possibilità di successo delle armi tedesche.
Altri otto mesi erano passati nella breve vita del «Reich millenario».
NOTE:
1 Vi sono alcune discordanze circa il vero contenuto del suggerimento di Model. Interrogato da Liddell Hart, Manstein affermò cLe Model disse a Hitler che l’offensiva era possibile se gli si davano forze adeguate e che ciò dipendeva dalla decisione di Hitler di aspettare i Panther. Ma quando Manstein scrisse le sue memorie non citò affatto Model. Guderian (che non è una fonte imparziale) dice che Model era assolutamente contrario.
2 All’inizio del 1917 il nuovo comandante in capo dell’Esercito francese, generale Nivelle, cominciò a preparare un attacco, da sferrare con 4.4 divisioni francesi, contro un settore vulnerabile delle linee tedesche, tenuto da nove divisioni. I piani vennero trasmessi perfino ai sottufficiali e alcuni, nel febbraio, caddero nelle mani dei tedeschi. In marzo i tedeschi si ritirarono dal saliente vulnerabile e si attestarono dietro la Linea Hindenburg, che venne rinforzata con altre 34 divisioni. Nivelle, nonostante i dubbi manifestatisi nel gabinetto francese e anche fra i suoi colleghi, insistè per sferrare l’attacco contro le nuove posizioni tedesche, ma senza alcuna modifica del piano tattico. Il risultato fu un completo disastro. Un resoconto recente dell’episodio è in Dare Cali It Treason di Richard M. Watt.