I collaborazionisti
Si ritiene che in totale un milione di soldati sovietici
finirono per combattere contro il proprio paese.
Richard Overy, Russia in guerra
Gli esperimenti omicidi facevano parte di un programma di pulizia etnica e di "controguerriglia" attuato nell'Est che causò la morte di milioni di ebrei, di prigionieri di guerra sovietici, di comunisti catturati, di partigiani e di semplici cittadini presi sotto il fuoco incrociato della guerra ideologica e razziale: un eccidio senza precedenti nella storia della guerra moderna. Pochi di quelli che videro i carri armati tedeschi passare vicino ai loro villaggi, nei primi giorni dell’invasione, immaginavano come si sarebbero comportati gli invasori. Negli stati baltici, in Bielorussia e in Ucraina c’era una forte ostilità nei confronti di Stalin e dello stalinismo, ma prendere le distanze dal regime sovietico non voleva dire per forza che si gradisse di più il regime tedesco. Neppure il collaborazionismo con l’invasore, con i soliti risvolti di tradimento e opportunismo, può essere sempre preso per quello che sembra.
Non c’è alcun dubbio che alcuni di quelli che caddero sotto il dominio tedesco nell’Est collaborarono con l’invasore. Alcuni lo fecero spontaneamente, spinti dalla sincera ripugnanza per il comunismo sovietico. Altri lo fecero nell’errata convinzione che i tedeschi avessero larghe vedute sul ripristino della proprietà privata della terra e sull’impresa capitalistica (a Kiev un gruppo di commercianti ebrei presentò perfino una petizione alle autorità tedesche per ottenere il permesso di riprendere le proprie attività). Altri ancora lo fecero vedendovi l’opportunità di costituire stati nazionali indipendenti, a lungo negati dalla repressione sovietica. Sorsero comitati nazionali negli stati baltici, in Ucraina e nella regione del Caucaso. La maggior parte dei collaborazionisti aiutò le forze armate tedesche. Il reclutamento di lavoratori militari sovietici iniziò poco tempo dopo l’invasione. I prigionieri о i lavoratori del posto furono impiegati come ausiliari volontari. Furono loro assegnati soprattutto i lavori più umili, come l’erezione delle difese, il trasporto dei rifornimenti о la costruzione di aeroporti e campi. All’inizio furono utilizzati in segreto, perché Hitler aveva proibito di servirsi della manodopera sovietica. Piuttosto che utilizzarne la forza lavoro per lo sforzo bellico, i tedeschi lasciarono morire di denutrizione e malattie milioni di prigionieri di guerra in enormi campi all’aperto.
Presto, però, i comandanti tedeschi in Russia si resero conto di non avere alternative al reclutamento di manodopera locale. L’immensa area del fronte e la velocità dell’avanzata rendevano impossibile l’utilizzo di personale tedesco sufficiente a tenere in funzione l’intero apparato militare che sosteneva la linea del fronte. Alla fine dell’estate del 1941 si poterono incontrare reclute sovietiche perfino nei ranghi delle forze combattenti, mobilitate nella crociata contro il bolscevismo.
In un primo tempo si reclutarono soprattutto persone appartenenti alle nazionalità non russe, più ostili al sistema sovietico. Nel 1941 i campi dei prigionieri di guerra furono setacciati per prelevare i detenuti del Caucaso о del Turkestan, che furono rivestiti con divise tedesche, assegnati quasi sempre a ufficiali tedeschi (solo settanta-quattro dei prigionieri liberati ebbero il grado di ufficiale) e ricevettero armi sovietiche di cattiva qualità. I reparti islamici ebbero ciascuno il proprio imam, e preti sunniti e sciiti furono formati presso le scuole ideologiche di Dresda e Gottingen per soddisfare la forte domanda di istruzione islamica tra le truppe. Molti degli uomini reclutati furono assegnati alle divisioni tedesche preesistenti, ma in piccoli gruppi, per evitare le diserzioni. Durante la guerra, tuttavia, vennero inquadrati in reparti più grandi. Furono create due divisioni ucraine, una divisione del Turkestan, una divisione di SS reclutata in Galizia e oltre 150.000 lettoni, lituani ed estoni. E soprattutto ci furono i cosacchi: appartenenti a tribù guerriere, erano combattenti leggendari, con una lunga e sanguinosa storia di combattimenti al servizio degli zar. Molti di loro avevano combattuto contro i bolscevichi durante la guerra civile e non si erano mai riconciliati con un sistema che negava l’esistenza della loro nazione e aveva ferocemente represso gli usi tradizionali cosacchi. Non nascondevano il desiderio di costruire una patria nazionale, la Kazakia, ma furono bene accetti dai comandanti tedeschi come compagni d’armi.
I reggimenti cosacchi dell’Armata Rossa passarono al nemico e si offrirono volontariamente al suo servizio. Costituirono veloci squadroni di cavalleria impiegati nella caccia ai partigiani. Quando nel 1942 le armate tedesche liberarono le terre cosacche del sud, c’erano ad accoglierle intere popolazioni dei villaggi e delle fattorie, che cantavano gli inni locali e portavano in dono cibo e fiori. Gli uomini disseppellirono le spade, i pugnali e i fucili nascosti anni prima e si presentarono nei loro costumi, con le sciabole e le tradizionali cartucciere incrociate sul petto, per offrire i propri servizi. Un vecchio capo, l’atamano Kulakov, a lungo creduto morto, uscì dal suo nascondiglio e si mise alla testa di una grandiosa processione tribale nella capitale cosacca di Poltava. I cavalieri furono arruolati nell’armata tedesca che si avvicinava a Stalingrado. Furono mandati a cacciare i gruppi di sbandati dell’Armata Rossa, cosa che fecero con feroce e spietata efficienza. Nel 1943 perfino Hitler vinse i suoi pregiudizi contro le popolazioni asiatiche e diede la propria autorizzazione alla costituzione della prima divisione interamente cosacca. Il loro numero crebbe vertiginosamente: nel 1944 i cosacchi al servizio dei tedeschi erano 250.000.
Si ritiene che in totale un milione di soldati sovietici finirono per combattere contro il proprio paese. Molti lo fecero per disperazione, come unica alternativa alla fine in un campo per prigionieri di guerra о all’invio ai lavori forzati nel Reich, dove si valuta che siamo stati 750.000 i morti per maltrattamenti о abbandono. Questo caso è difficilmente classificabile come collaborazionismo in senso stretto, anche se la maggior parte di questi soldati ebbe una condanna a morte о alla detenzione quando, alla fine della guerra, si ritrovò tra gli sconfitti. Altri disertarono con maggior entusiasmo. Per la campagna antiguerriglia, i tedeschi assoldarono bande di mercenari e banditi sovietici incaricandoli di scovare i partigiani, e non fecero loro molte domande sui metodi utilizzati. Un ingegnere sovietico, tale Voskoboinikov, in pratica spadroneggiò nella regione intorno a Orèl e Kursk per conto dei tedeschi: con 20.000 uomini e ventiquattro carri armati terrorizzava la popolazione, imponendo tasse e requisendo il cibo con la forza, assassinando chiunque osasse resistere. Fu ucciso dai paracadutisti sovietici lanciati nella zona nel gennaio del 1942.
Ma i rimpiazzi non mancavano: Voskoboinikov fu sostituito dal più celebre di tutti i disertori, Bronislav Kaminsky, un altro ingegnere sovietico che stabilì un regno di terrore e di crimine nella regione. Spalleggiato da 10.000 uomini e da migliaia di civili aggregatisi alle sue truppe, Kaminsky fu lasciato Ubero di pacificare la regione a modo suo. Le sue forze facevano parte di una formazione chiamata pomposamente “Armata di liberazione nazionale russa”, anche se liberarono ben poco, se si eccettuano le proprietà altrui. La fama della brigata Kaminsky non era minore di quella delle SS. Heinrich Himmler, che ne aveva il controllo, la ritirò dalla Russia nel 1944 per utilizzarla contro la rivolta polacca di Varsavia. Il comportamento di questa brigata nei massacri di migliaia di civili polacchi, con scene di impressionante crudeltà, fu troppo perfino per lo stomaco indurito delle SS. Kaminsky fu fucilato per ordine del suo capo tedesco e i resti del reparto furono inviati a formare il nucleo di un’altra armata di rinnegati russi, costituita nell’estremo tentativo di combattere contro il comunismo. Giunsero al campo russo nel Wurttemberg sotto lo sguardo stupefatto del loro nuovo comandante, il generale Bunjacenko: una processione di carri trainati da cavalli, carichi di uomini armati e disarmati, che indossavano uniformi di ogni tipo. Erano accompagnati dalle loro donne, che sfoggiavano abiti e gioielli rubati. Gli ufficiali esibivano numerosi orologi su entrambi i polsi. Bunjacenko era allibito: «E questo quello che mi mandano? Banditi, rapinatori, ladri?».
L’uomo che i fuorilegge di Kaminsky si accingevano a servire era il generale Andrej Vlasov, che solo tre anni prima si era distinto nella difesa di Mosca ed era noto per essere uno dei favoriti di Stalin. Invece era diventato il capo del Comitato di liberazione dei popoli della Russia e leader ufficiale di quei cittadini
sovietici, più di cinque milioni, che vivevano sotto l'amministrazione tedesca.
testo tratto da: Richard Overy - Russia in guerra
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