La battaglia di Kursk
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GUERRA PROFONDA
brano tratto da R.Overy - "La strada della vittoria", Il mulino 2002
Si parla di notte profonda, autunno profondo,
quando ripenso al 1943, mi viene voglia di dire:
«guerra profonda».
Il’ja Ehrenburg, Uomini, anni, vita
Il disgelo primaverile agli inizi di aprile portò entrambe le parti a una battuta d’arresto dopo nove mesi di combattimenti continui e perdite enormi. L’esito finale della controffensiva tedesca aveva portato a una linea del fronte irregolare: nella zona centrale, di fronte alla città di Voronez, c’era un grosso saliente sovietico che si spingeva in profondità nelle linee tedesche, attorno alla città di Kursk. Questa protuberanza era larga 120 miglia, da Belgorod a sud fino a poche miglia da Orel a nord, e costituiva una minaccia per le forze tedesche su entrambi i lati; fu qui che riprese il conflitto in estate.
Dopo le offensive su larga scala lanciate nel 1941 e 1942, le ambizioni tedesche per il 1943 erano assai più modeste, poiché le perdite subite nella lotta per Stalingrado e la lunga ritirata che ne era seguita erano state debilitanti: nel gennaio 1943 solo 495 dei carri armati schierati sull’intero fronte orientale erano utilizzabili. Anche con riparazioni e rinforzi ingenti, a maggio l’esercito tede-sco poteva disporre di una forza di soli 2.500 carri armati, il numero più basso negli ultimi due anni52. Anche le truppe disponibili erano assai ridotte: nell’estate del 1943 la fanteria disponeva infatti di un totale di 4,4 milioni di uomini, contro i 6,2 messi in campo per la campagna del 1942. I comandanti tedeschi erano quasi tutti d’accordo sul fatto che il meglio che potessero fare era mantenere le posizioni a oriente e resistere all’offensiva sovietica intraprendendo un numero limitato di contrattacchi poderosi. Per una volta Hitler accettò i loro consigli: dopo Stalingrado il suo interesse per il fronte orientale era chiaramente diminuito, l'iniziativa fu lasciata a von Manstein, che propose di schiacciare il saliente di Kursk prima di muovere verso sud per riconquistare Sarte dei territori perduti. Hitler accettò il piano, che fu battezzato «Cittadella», ma ribadì che non dovevano più esserci cedimenti, dopo l’umiliazione di Stalingrado. Nonostante Manstein volesse attaccare in aprile o agli inizi di maggio, prima che il nemico avesse il tempo di riorganizzarsi e di trincerarsi sulle proprie posizioni attorno a Kursk, Hitler rimandò l’offensiva fino alla metà giugno, e poi ancora fino a luglio, per riportare le forze corazzate tedesche a un livello tale da ridurre i rischi di una sconfitta53.
In marzo e aprile Stalin e lo Stato maggiore sovietico cercarono di capire quali sarebbero state le mosse successive del nemico.
Dopo due anni di previsioni disastrosamente sbagliate, Stalin era più disposto ad ascoltare i consigli, riconoscendo di essere stato il maggiore ostacolo a una corretta interpretazione delle intenzioni tedesche. Questa volta ascoltò le opinioni dei membri dello Stato maggiore e dei comandanti al fronte oltre a quelle del suo circolo più ristretto. Emerse un consenso generale sul fatto che il saliente di Kursk fosse l’unica posizione sul fronte dove le forze tedesche erano in condizione di lanciare un attacco con qualche possibilità di successo. Per la prima volta, questa conclusione fu raggiunta sulla base di una solida opera di spionaggio. Grazie alle ricognizioni aeree, alle attività dei partigiani e alle intercettazioni radio, i comandanti sovietici furono in grado di costruire un quadro assai più chiaro della disposizione delle truppe tedesche: dalle concentrazioni di Panzer e di divisioni di fanteria intorno a Orel e Charkov risultava evidente la direzione da cui sarebbe arrivato l’attacco principale. Sulla base di un’esperienza biennale dei metodi di pianificazione tedeschi, i comandanti sovietici furono in grado di prevedere con notevole precisione come le forze del Reich avrebbero iniziato l’attacco. Si ipotizzò che due assalti con divisioni corazzate, a nord e a sud del collo del saliente, avrebbero tentato di convergere per accerchiare le forze sovietiche all’interno della protuberanza, ma da lì in poi si potevano fare solo congetture sulle intenzioni dei tedeschi54.
Il passo successivo consisteva nel decidere come reagire. Stalin istintivamente favoriva una soluzione offensiva: un attacco preventivo contro posizioni tedesche, seguito da un inseguimento senza tregua. Zukov e lo Stato maggiore respinsero questa ipotesi, e il fatto che Stalin si inchinasse alle opinioni del suo vice ancora una volta depone a favore delle sue capacità di giudizio. L’8 aprile Zukov suggerì il piano che qualche settimana dopo sarebbe stato adottato come strategia sovietica ufficiale per il 1943: per prima cosa, le forze sovietiche dovevano assorbire la spinta tedesca a Kursk lungo una profonda linea difensiva, logorare le forze corazzate del nemico e quindi rispondere con un contrattacco di potenza schiacciante che avrebbe dovuto disperdere le forze nemiche su tutto il campo di battaglia. Era un piano audace, perché l’Armata rossa aveva già fallito nel tentativo di sconfiggere le forze tedesche in estate, quando il terreno e il clima erano più favorevoli agli invasori, ma era basato su una solida esperienza: le lezioni apprese nella lunga campagna di Stalingrado erano state assimilate. Zukov insistette affinché la battaglia di Kursk fosse posta sotto il controllo del quartier generale supremo, prestando particolare attenzione alla pianificazione e al coordinamento centralizzato di tutti gli aspetti della campagna. Nei preparativi per Kursk c’era una profondità operativa e logistica che i precedenti piani sovietici non avevano posseduto. Dopo una lunga serie di vistosi errori a livello di spionaggio, l’alto comando sovietico insistette anche sulla necessità prioritaria di operazioni di intelligence di ogni genere. Alcune informazioni furono fornite dai britannici, ma le informazioni più dettagliate furono ricavate dalla decifrazione ottenuta grazie a ULTRA e inviate dalla spia sovietica John Cairncross (che in seguito sarebbe stato smascherato come «il quinto uomo» della rete spionistica di Cambridge), che aveva trovato lavoro al centro spionistico di Bletchley Park nel 1942. La maggior parte dei dati sulle concentrazioni di truppe, però, fu il risultato di notevoli miglioramenti nella raccolta di informazioni da parte dei sovietici stessi, in particolare nell’intercettazione del traffico radio tedesco di basso livello, e nell’utilizzo di attacchi a sorpresa per catturare soldati tedeschi in prima linea da interrogare55. Sebbene i comandanti sovietici non riuscissero mai a individuare il punto esatto dell’attacco tedesco, possedevano comunque un quadro assai più chiaro di cosa si trovavano ad affrontare rispetto alle campagne precedenti.
Il punto cruciale di tutto il piano sovietico fu la preparazione meticolosa del campo di battaglia. Le truppe iniziarono a trincerarsi ancor prima che il piano per Kursk fosse completamente definito. All’interno del saliente furono concentrate sette armate sul fronte centrale e su quello di Voronez, che difendevano il lato settentrionale e quello meridionale del saliente. Ulteriori truppe di rinforzo furono dislocate su entrambi i lati della protuberanza, sul fronte di Brjansk a nord e sul fronte sud-occidentale a sud, pronte a lanciare il contrattacco. La carta vincente di Zukov si trovava molte miglia dietro il saliente: una forza di riserva costituita da due armate di fanteria, un’armata di carri armati e la 5a armata aerea, organizzate nel «fronte della Steppa». Questa massiccia riserva avrebbe dovuto essere lanciata all’attacco quando la spinta tedesca fosse stata indebolita dalle linee difensive. All’interno del saliente di Kursk la popolazione fu lasciata tranquilla, una decisione presa in parte per evitare la demoralizzazione conseguente a un altro deflusso di rifugiati e in parte perché l’aiuto dei civili di entrambi i sessi e di tutte le età era necessario per preparare i bastioni difensivi.
Il sistema difensivo era alquanto sofisticato dal punto di vista tattico. Si crearono non meno di sei zone difensive all’interno del saliente, per una profondità di 50 miglia, con due ulteriori linee davanti al fronte di riserva della Steppa. Le prime tre zone erano le più cruciali, poiché in esse si concentrava la forza maggiore delle armate sovietiche; ciascuna era dotata di trincee continue e sbarramenti anticarro, collegati da un sistema di passaggi di comunicazione. Sul solo fronte centrale le truppe scavarono qualcosa come 3.000 miglia di trincee e posarono 400.000 mine; ciascuna linea era protetta da filo spinato, in parte elettrificato? L’obiettivo principale consisteva nel resistere e perforare le corazze del nemico. Si fece ricorso a tutti i mezzi: fossati con «denti di drago» (pali di legno uniti a formare una lunghissima fila di spiedi), piccole dighe per inondare il terreno davanti ai carri armati che avanzavano e abbattute (alberi impilati l’uno sull’altro con i rami rivolti verso il nemico) in ogni bosco. Si prestò grande attenzione al campo di fuoco dell’artiglieria e alle armi anticarro. Si elaborò un sistema incrociato di capisaldi d’artiglieria, dai quali si potevano coprire tutte le vie dell’avanzata, predisponendo così quella che un comandante del fronte definì «una cortina di fuoco impenetrabile»56. Infine, ma non ultimo per importanza, fu iniziato un programma intensivo di addestramento per le forze sovietiche anticarro e di artiglieria.
Nel giro di poche settimane la zona di Kursk fu trasformata in una enorme fortezza, all’interno delle, cui mura si trovavano un milione di soldati sovietici, meglio armati di quanto lo fossero mai stati dall'inizio del conflitto. La fanteria disponeva di armi automatiche migliori e di attrezzature per le comunicazioni più efficienti. Il tipico carro armato sovietico, il T-34, aveva subito miglioramenti limitati ma significativi. Nonostante la robusta corazza e l’alta velocità, il T-34 non si era comportato particolarmente bene in combattimento fino al 1942, poiché, oltre al guidatore alloggiato nello scafo, aveva un equipaggio di soli due soldati in torretta (tre era la norma nei carri armati tedeschi), il che significava che il comandante del carro doveva anche fare fuoco col cannone. La torretta era scomoda e non offriva una buona visibilità, e quando il comandante del carro metteva la testa fuori dal portello superiore tutto ciò che poteva vedere sul davanti era la copertura del portello stesso. Ben pochi carri armati erano dotati di radio, così che si trovavano isolati una volta iniziati i combattimenti. Nel 1943 gli ingegneri sovietici rettificarono lentamente questi errori grossolani. Per consentire la presenza di un altro membro dell’equipaggio si progettò una torretta di maggiori dimensioni, con un portello modificato che consentiva una visibilità a 360 gradi. Un numero molto maggior di carri armati era dotato di radio e si creò un sistema di Comunicazione in battaglia che consentiva ai comandanti di dirigere operazioni corazzate di portata più ampia e più complesse, oltre che di richiedere l’appoggio delle forze aeree contro le sacche di resistenza più ostinate57. Le forze corazzate sovietiche sapevano di trovarsi di fronte un nemico diverso nel 1943, la nuova generazione di carri armati pesanti tedeschi, i «Tiger» da 56 tonnellate e i più piccoli «Panther» da 45 tonnellate, entrambi dotati di cannoni di grosso calibro e di una buona corazza, più che sufficiente per confrontarsi il T-34. Per far fronte a questa minaccia si dovette escogitare una nuova strategia: poiché a distanza ravvicinata i grandi cannoni tedeschi non potevano essere utilizzati con efficacia, i carristi sovietici furono addestrati ad avvicinarsi al nemico e a sparare a bruciapelo sulle parti vulnerabili del carro armato avversario, sui fianchi e sul retro. Le stesse istruzioni vennero date all’artiglieria anticarro. In un attacco frontale il cannone anticarro sovietico da 76 millimetri era inefficace, ma tendere imboscate e colpire di lato i Tiger e i Panther mentre procedevano poteva permettere di immobilizzarli o anche di distruggerli58.
Nel caso che le mine, i cannoni e i fossati non riuscissero a fermare i carri armati nemici l’alto comando sovietico aggiunse i famosi cacciabombardieri Iljusin 11-2 Sturmovik. La versione del 1943 era più veloce e meglio armata, con cannoni anticarro da 37 millimetri e la nuova bomba anticarro «PTAB». Per la battaglia di Kursk se ne assemblarono quasi mille, in aggiunta a oltre un migliaio di caccia e quasi mille bombardieri. Come supporto a questo schieramento di mezzi in gran parte all’avanguardia c’era un’enorme forza aerea di riserva costituita da altri 2.750 mezzi, in attesa, come il fronte della Steppa, di sferrare il colpo mortale. Il numero di stazioni per le comunicazioni radio, un servizio che consentì finalmente ai comandanti dell’aviazione di coordinare gli attacchi, crebbe da 180 a 420, che per di più vennero per la prima volta dotate di radar efficienti. Si costruirono oltre 150 aeroporti per Kursk, oltre a cinquanta finti campi per dissimulare i punti di forza e le intenzioni dei sovietici59. Le forze sovietiche d’aria e di terra costituivano, sia dal punto di vista tattico sia da quello tecnico, una barriera assai più robusta di quanto si aspettassero i comandanti tedeschi.
I piccoli dettagli ebbero notevole importanza per il risultato finale della battaglia, perché non c’era una grande differenza numerica tra le forze che si confrontavano. Ognuna delle due aveva osservato quello che stava facendo l’altra per tutta la tarda primavera. Fu ammassata una quantità crescente di uomini e mezzi, finché quella che Manstein aveva ritenuto una controffensiva, circoscritta assunse dimensioni tutt’altro che locali: Kursk divenne così la più grande battaglia di posizione della guerra. Sul lato tedesco si trovavano ammassate cinquanta divisioni con 900.000 uomini, 2.700 carri armati, 10.000 cannoni e 2.000 aerei. Sui due fronti difensivi principali, quello centrale e quello di Voronez, c’erano 1.336.000 uomini, 3.444 carri armati, 2.900 aerei e 19.000 cannoni60. I comandanti sovietici assegnarono a questo combattimento il 40 per cento delle risorse umane dell’Armata rossa e i tre quarti delle forze corazzate. La vittoria o la sconfitta divennero cruciali per entrambe le parti.
C’era un’informazione che l’alto comando sovietico cercava disperatamente di ottenere: quando avrebbero attaccato le armate tedesche? Questa domanda non poteva avere una risposta precisa perché Hitler, preoccupato per l’impreparazione delle proprie truppe, continuava a rimandare la data, prima il 3 maggio, poi il 12 giugno e infine gli inizi di luglio. Le forze sovietiche vennero tenute in uno stato di preallarme per gran parte di questo periodo, mentre ricorrenti allarmi spionistici le portarono più di una volta allo stato di massima allerta. Quanto più Stalin doveva aspettare, tanto più smaniava di entrare in azione, ma Zukov sapeva che le forze sovietiche dovevano essere tenute a freno o l’intera operazione ben orchestrata ne sarebbe risultata compromessa. Insistette su questo punto più e più volte finché Stalin non arrivò a considerare il piano come suo. Per tutto giugno le fonti spionistiche sovietiche confermarono che le forze tedesche erano in posizione e pronte all’attacco, ma il gioco d’attesa continuò. I sovietici divennero irrequieti, temendo qualche stratagemma inaspettato. Il mistero si infittì quando, il 23 giugno, una cellula spionistica sovietica in Svizzera comunicò, tramite l’agente «Lucy», che Hitler aveva cambiato idea e l’attacco era stato rinviato. In una settimana di alta tensione Zukov mantenne la calma: tutti gli indizi provenienti dal fronte indicavano che le forze tedesche si stavano spostando su posizioni di battaglia e che ci si poteva attendere un attacco in qualsiasi momento tra il 3 e il 6 luglio. Le truppe furono poste in stato di piena allerta dal 2 luglio. Poi, improvvisamente, il 4 luglio ogni attività sul fronte tedesco cessò. Uno strano silenzio scese sul fronte, sconcertante e minaccioso61.
I comandanti sovietici sapevano che poteva significare una sola cosa. Un prigioniero catturato sul fronte di Voronez disse che erano state distribuite le razioni di battaglia e una porzione di grappa ai soldati tedeschi. Alle dieci di sera una pattuglia sovietica in ricognizione catturò un altro soldato di fanteria. L’interrogatorio rivelò che Fassalto tedesco avrebbe avuto inizio con uno sbarramento d’artiglieria nel giro di quattro ore62. Stalin e Zukov attesero impazienti al quartier generale, incapaci di dormire. Alle 2 del mattino fu dato ordine ai cannoni sovietici di aprire il fuoco con uno sbarramento di disturbo contro le posizioni tedesche. Il rumore sordo delle bombe e dei proiettili, il sibilo del-le salve di razzi, il rombo dei motori degli aerei si fusero in un tutt’uno, «come i motivi», scrisse in seguito Zukov, «di una sinfonia proveniente dall’inferno»63. I tedeschi in attesa furono colti completamente di sorpresa. Per un po’ i comandanti tedeschi pensarono che, per una coincidenza folle, l’Armata rossa avesse iniziato un’offensiva esattamente nello stesso momento scelto da loro. Lentamente si riportò l’ordine tra le file e l’offensiva tedesca iniziò alle 4,30 del mattino del 5 luglio col boato di diecimila cannoni e il ruggito di duemila aerei.
L'assalto tedesco fu una dimostrazione tremenda della potenza degli eserciti moderni. Dai luoghi di raduno attorno a Belgorod a sud e Orel a nord una forza d’urto di Panzer pesantemente armati e ben supportati dall’aviazione si scagliò contro i baluardi sovietici. A nord la carica fu guidata dalla 9a armata corazzata del feldmaresciallo Model, di fronte al quale si trovava la 13a armata del fronte centrale, comandata dal generale Rokossovskij. La paziente opera di preparazione di Zukov si dimostrò importante fin quasi da subito. Le forze tedesche, precedute da gruppi di carri armati Tiger e dai nuovi, potenti cannoni semoventi Ferdinand, e appoggiate da carri armati più leggeri e dalla fanteria motorizzata, si trovarono sotto un pauroso fuoco di sbarramento. Gli artiglieri anticarro seguirono le istruzioni e attaccarono i nuovi carri armati pesanti da una distanza pericolosamente ravvicinata. Le unità d’urto mobili, armate di bottiglie incendiarie e di sbarramenti anticarro portatili, si mossero a grande velocità attraverso tutto il campo di battaglia Per immobilizzare i veicoli nemici. Alla fine del primo giorno le forze di Model erano avanzate di sole quattro miglia ed erano inchiodate da uno sbarramento d’artiglieria pesante e preciso; ogni singola azione tedesca provocò una rapida risposta da parte del nemico, capace di muovere intere divisioni per bloccare l’avanzata germanica. Il giorno successivo la 2a e la 9a divisione Panzer condussero un attacco con tremila cannoni e mille carri armati lungo un fronte largo sei miglia, ma il loro progresso fu lento di fronte alla resistenza del fronte principale. Il giorno dopo Model scagliò l’intero peso delle sue armate contro due piccole città, Ponyri e Olchovarka. Quattro divisioni Panzer avanzarono lentamente contro una resistenza che serrava i ranghi, cospargendo il terreno di carcasse fumanti di carri armati e cannoni. Imprigionati nella zona difensiva principale, i carri armati furono bombardati dai caccia-bombardieri sovietici e distrutti l’uno dopo l’altro da postazioni anticarro accuratamente camuffate. Dopo cinque giorni di duri combattimenti la spinta tedesca contro la parte settentrionale del saliente iniziò ad esaurirsi. Il 12 luglio i ruoli si erano già invertiti. Rokossovskij aveva ancora forze di riserva e ora le armate sovietiche si aprirono un varco nella debole tenaglia delle esauste divisioni di Panzer, costringendole alla ritirata attraverso il macabro campo di battaglia64.
Sul fronte meridionale, dove c’era una maggiore concentrazione di mezzi corazzati, l’attacco ebbe maggiore successo. Le difese sul fronte di Voronez, sotto il comando di Vatutin, erano meno imponenti, perché non era stato possibile indovinare esattamente in quale punto ci sarebbe stato l’affondo tedesco. Alle cinque del mattino, la 4a armata Panzer, comandata da quello stesso generale Hoth che non era riuscito a salvare Paulus in dicembre, avanzò su uno stretto fronte con una forza d’assalto di settecento carri armati. Aveva a sua disposizione nove divisioni corazzate, il fiore all’occhiello dell’esercito tedesco. Dell’avanguardia facevano parte tre delle divisioni più coriacee? le divisioni corazzate delle SS «Totenkopf», «Das Reich» e «Leibstandarte Adolf Hitler». Come le truppe a nord, anche queste si trovarono di fronte una cortina di fuoco al momento di assaltare le linee difensive sovietiche, ma le dimensioni e la ferocia delle forze attaccanti erano tali che riuscirono ad aprire profonde brecce nel fronte sovietico. Il 7 luglio la divisione Totenkopf conquistò una solida posizione sulla strada per Obojan, una cittadina 20 miglia all'interno del fronte sovietico, la cui conquista avrebbe aperto la strada per Kursk e la vulnerabile retroguardia del saliente. La fiducia crebbe tra le truppe delle SS: la possibilità di ripetere i grandi successi del 1941 e 1942 sembrava vicina. Ma il giorno successivo le divisioni tedesche più avanzate iniziarono a incontrare una resistenza più tenace man mano che si addentravano nella linea difensiva principale e la loro avanzata rallentò di colpo. La la armata carri e la 6a armata della Guardia dell’esercito sovietico, arroccate contro la terrificante potenza di cinquecento Panzer ammassati su un fronte di quattro miglia, li bloccarono a una dozzina di miglia da Obojan. Il comando supremo sovietico fece avanzare le prime riserve per aiutare la resistenza, e furono ingaggiati per due giorni scontri feroci per impedire alle forze tedesche di conquistare la strada cruciale verso nord. Il 9 luglio la Totenkopf attraversò il fiume Psel, a sud di Obojan, e costituì una piccola testa di ponte: sarebbe stato il punto più avanzato raggiunto dagli attaccanti65.
Dopo cinque giorni di combattimenti furiosi, durante i quali nessuna delle due parti concesse nulla all’altra, entrambe si concessero una pausa per riorganizzarsi. L’elevato costo dell’avanzata verso Obojan convinse Hoth a volgere i suoi Panzer in un’altra direzione, a nord-ovest verso la cittadina di Prochorovka. Hoth sperava che il classico movimento a tenaglia gli avrebbe consentito di circondare e distruggere le forze sovietiche che ancora gli si opponevano e gli avrebbe aperto la strada per Kursk una volta per tutte, ma i comandanti sovietici compresero ciò che stava accadendo e schierarono le riserve che avevano istituito proprio per fronteggiare una simile evenienza. La 5a armata corazzata della Guardia del generale Nikolaj Rotmistrov ricevette l’ordine di muovere rapidamente dalla sua zona di addestramento a sud di Voronez incontro ai Panzer tedeschi per fermarli. Anche alcune unità delle vaste riserve del fronte della Steppa ricevettero lo stesso ordine, contro l’opinione del loro comandante, Ivan Konev, che voleva impegnare l’intero fronte solo in una fase successiva e tutto insieme. Le guardie di Rotmistrov dovettero affrontare una marcia durissima; mentre avanzavano sulla steppa arida furono avviluppate da nubi di polvere calda che si posava in spessi strati sui carri armati, sui camion e sui soldati. «Faceva un caldo intollerabile», ricordò Rotmistrov, «i soldati erano torturati dalla sete e le loro camicie, bagnate di sudore, erano incollate ai corpi»66. In sole 48 ore percorsero 150 miglia; con loro viaggiavano squadre di manutenzione col compito di preservare l’efficienza dei carri armati. Come la proverbiale cavalleria, arrivarono proprio all’ultimo momento.
Mentre le riserve sovietiche si riversavano sul campo di battaglia per chiudere la breccia aperta dalla 5a Panzerarmee, le forze tedesche si preparavano alla spallata finale. La mattina dell’11 luglio le tre Panzerdivision avanzarono verso Prochorovka. Alla calura secca e polverosa subentrarono improvvisamente folate di vento e forti piogge. I carri armati tedeschi si spinsero avanti, a ovest e a sud-est della cittadina, ma non riuscirono ad avanzare contro la determinata difesa anticarro che causò perdite ingenti. Zukov e il capo di Stato maggiore, Vasilevskij, assunsero il controllo della battaglia che raggiunse il culmine il 12 luglio. Zukov organizzò dieci reggimenti di artiglieria come forze anticarro tutto intorno alla città, mentre la 5a armata corazzata della Guardia, ora appoggiata dalla 5a armata di fanteria della Guardia di Zadov, si apprestava al contrattacco contro le forze delle SS con un totale di 850 carri armati e cannoni semoventi, la maggiore forza corazzata messa insieme per un singolo combattimento dall’inizio della guerra.
La mattina del 12 luglio Rotmistrov installò il proprio quartier generale su una collina che dominava il campo di battaglia principale: «Da un solido ricovero sotterraneo in un campo di meli, con gli alberi per metà bruciati e per metà abbattuti», Rotmistrov assistette alla scena che si svolgeva più in basso sulla pianura ondulata, interrotta da boschetti e burroni bordati di alberi, un’area di ricca terra coltivata in tempo di pace. Ai margini della pianura, nascosta nei boschi e nell’erba alta, era in agguato la sua forza corazzata. Alle 8,30 del mattino, mentre le due aviazioni combattevano tra le nuvole sovrastanti, diede ordine di inviare la parola d’ordine «acciaio, acciaio» ai carri armati67. Era il segnale dell’avanzata. Sotto di lui vide i T-34 uscire dai loro nascondigli in mezzo all’erba e ai covoni. Per caso, esattamente nello stesso momento, i carri armati tedeschi mossero dall’altro Iato della pianura. Due imponenti forze corazzate si stavano lanciando verso una collisione frontale e non si poteva fare nulla per evitarlo. Si dimostrò impossibile controllare la battaglia che seguì. I carri armati presero a turbinare in un mare di esplosioni andando a cozzare contro gli attaccanti; gli equipaggi dei T-34 approfittarono della mischia per attaccare i nemici da vicino, colpendo i Tiger e i Panther sul fianco e da dietro, dove erano più vulnerabili. Quando i carristi sovietici finirono le munizioni iniziarono a speronare i veicoli tedeschi, o ad attaccarli a piedi con le granate. Dall’alto bombardieri di entrambe le parti cercavano di distinguere le unità nemiche da quelle amiche. I forti tuoni del temporale si udivano a malapena nell’infuriare della battaglia. La pianura era cosparsa di carcasse in fiamme di carri di entrambe le parti e le tre miglia quadrate ai piedi di Rotmistrov da verdi divennero nere. Tutto bruciava: boschi, campi, villaggi. Persino sulla collina l’aria era piena di fuliggine e di fumo.
Mentre le due forze corazzate restavano impegnate in battaglia, cannone contro cannone, per otto ore, le forze sovietiche a sud di Prochorovka bloccavano il tentativo da parte di altre Panzerdivision, fatte avanzare frettolosamente dalle retroguardie, di aprirsi un varco verso la parte orientale della città. Altre divisioni corazzate furono inviate a ovest per impedire che 1’11° corpo d’armata corazzato aggirasse il campo della grande battaglia per prendere alle spalle la 5a armata corazzata della Guardia. Il rapido spostamento dei mezzi da parte dei sovietici frustrò ogni tentativo tedesco: per quanto riuscissero a fare qua e là qualche passo avanti, le Panzerdivision nei punti critici del campo di battaglia cominciarono ad essere respinte dai carri armati sovietici. Illuminata dagli incendi, la battaglia proseguì per tutta la sera. Col sopraggiungere della notte gli spari cessarono gradualmente; le due parti si ritirarono per leccarsi le ferite. La notte successiva Zukov venne a far visita a Rotmistrov. I due camminarono fino alla pianura, tra i cadaveri e le carcasse delle macchine da guerra, i carri armati in fiamme sotto la pioggia estiva. Zukov era visibilmente commosso. Si tolse il cappello e rimase per qualche momento sprofondato nei propri pensieri68.
La mancata conquista di Prochorovka da parte delle forze tedesche segnò la fine dell’operazione «Cittadella»1tedeschi continuarono a saggiare le difese sovietiche per parecchi giorni successivi, ma erano stati decimati nei duri scontri tra corazzati: solo il 12 luglio erano stati distrutti oltre trecento carri tedeschi. Le divisioni d’assalto erano esauste; la divisione SS Totenkopf aveva subito perdite tali da dover essere ritirata per essere ricostituita, poiché più della metà dei suoi carri armati e degli altri mezzi giacevano, distrutti, nella steppa. Altre divisioni subirono perdite ancora maggiori: la terza Panzerdivision rimase con solo trenta carri armati dei trecento iniziali; la diciannovesima Panzerdivision dopo la battaglia non ne aveva che diciassette69. La battaglia di Kuisk demoralizzò definitivamente l’esercito tedesco. Heinz Guderian ispettore delle forze armate nel 1943, descrisse il fallimento dell'operazione «Cittadella» come una sconfitta decisiva». Le perdite subite a Kursk non potevano essere rimpiazzate rapidamente e il vantaggio nei veicoli corazzati glassato decisamente a favore dei sovietici In agosto, su tutto il fronte orientale, l’esercito tedesco poteva tare affidamento solo su 2.500 carri armati e cannoni semoventi contro gli 8.200 a disposizione dei sovietici70.
Il successo sovietico a Kursk, dove la posta in gioco era altissima, fu la vittoria più importante della guerra, collocabile al livello delle grandi battaglie della storia: Sedan nel 1870, e Borodino, Lipsia e Waterloo in epoca napoleonica. Segnò infatti il momento in cui riniziativa passò nelle mani dei sovietici: le forze tedesche furono certo capaci di una difesa prolungata ed efficace mentre si ritiravano verso occidente, ma erano ormai troppo indebolite e snervate per infliggere una sconfitta decisiva al nemico. A Kursk l’Armata rossa dimostrò di essere una forza di combattimento moderna e formidabile.
Il giorno dopo la battaglia di Prochorovka Hitler cancellò l’operazione «Cittadella». Tre giorni prima una forza angloamericana era sbarcata in Italia, ed era ormai seria la minaccia di un assalto frontale contro l’Europa controllata dai tedeschi proveniente dalla Manica. Posto di fronte a pericoli che venivano da est e da ovest, persino Hitler capì la necessità di una ritirata tempestiva dopo la sconfitta di Kursk, ma nessuno, tra i tedeschi, avrebbe potuto prevedere quello che sarebbe successo. Nei mesi che avevano preceduto la battaglia di Kursk, il comando supremo sovietico aveva progettato con cura una grande controffensiva, da lanciare quando la fase difensiva della campagna fosse terminata. La forza e l’estensione geografica del piano fu tenuta nascosta allo spionaggio tedesco grazie a un uso attento della mimetizza zione e della disinformazione, tecniche nelle quali le forze sovietiche si erano fatte assai più abili. Ancor prima che finisse la battaglia per il fronte meridionale del saliente di Kursk, i fronti sovietici limitrofi, il fronte occidentale e quello di Brjansk, si erano aperti un varco nelle retroguardie delle forze tedesche ammassate intorno a Orel. Le linee di difesa tedesche, costruite in profondità come quelle del saliente di Kursk, cedettero all’assalto, sopraffatte dalla superiorità numerica; le riserve tedesche di Panzer furono fatte intervenire per resistere all’affondo, ma il 5 agosto Ore! era ormai di nuovo in mani sovietiche e l’intero esercito tedesco era in ritirata?
A sud del saliente von Manstein iniziò a ritirare le forze tedesche man mano che gli giungevano notizie di enormi riserve sovietiche che si muovevano verso occidente. Stalin, di nuovo ansioso di accelerare la tabella di marcia, voleva inseguire immediatamente il nemico sconfitto: «Con grandissima riluttanza», ricordò Zukov, Stalin dovette accettare la necessità di un'accurata preparazione71. Le riserve, il carburante, le munizioni e tutta una serie di servizi di appoggio furono ammassati dietro alle armate. Il colpo del definitivo k.o., trattenuto durante i duri scontri di Kursk, sarebbe stato sferrato solo quando Zukov si fosse sentito pronto. Mentre le forze tedesche tentavano di rimettersi in sesto e di attestarsi intorno a Belgorod e a Charkov, il compressore sovietico veniva messo in moto. Il 3 agosto l’operazione «Rumjancev», Inoffensiva meridionale, era pronta: il fronte di Voronez costituiva il rostro sovietico e riproduceva l’offensiva combinata di aerei e carri corazzati già impiegata dal nemico. Neh giro di poche ore aveva scavato una breccia profonda nelle linee tedesche. Il 5 ago sto Belgorod fù conquistata; poco più di due settimane dopo, il fronte della Steppa di Konev si aprì la strada fino a Charkov, dove, con la copertura delle tenebre, i soldati sovietici andarono all’assalto per liberare la città. Riconoscente per la liberazione di Orel e Belgorod, Stalin ordinò che a Mosca si sparassero salve in onore di ciascuna città liberata; furono le prime di una lunga serie. Furono queste battaglie, combattute contro le armate corazzate ancora indebolite per i combattimenti di Kursk, che portarono a compimento le operazioni che Zukov aveva inizialmente proposto in aprile. Lo stadio successivo consisteva nello sfruttare il crollo delle forze tedesche per spingersi a ovest fino all’Ucraina e verso la Bielorussia72.
Il fronte tedesco orientale fu costretto, dopo Kursk e la presa di Charkov, a ripiegare per tutta la sua estensione. Tra agosto e dicembre l’Armata rossa non concesse tregua al nemico in ritirata. Stalin spinse avanti le armate sovietiche attraverso l’ampio campo di battaglia che si estendeva dal Baltico al mar Nero. Le forze tedesche semplicemente non disponevano delle forze e dei mezzi necessari a resistere contro un nemico dotato di risorse maggiori e che assimilava sempre di più i princìpi deglFsposta-menti operativi ad ampio raggio. In ottobre erano state respinte fino al fiume Dnepr. Stalin promise di assegnare l’ambito titolo di Eroe dell’Unione Sovietica ai primi soldati che riuscissero ad attraversarlo: in settembre l’ampia barriera costituita dal fiume, che Hitler aveva insistito fosse il bastione definitivo contro l’avanzata dei bolscevichi, era stata infranta in parecchi punti. Agli inizi di novembre ci fu un attacco in forze oltre il fiume che mise in rotta le forze tedesche concentrate attorno alla capitale dell’Ucrai-na Kiev, e la città stessa fu conquistata il 6. Nonostante i comandanti dell"Armata rossa commettessero ancora diversi errori e <raTin spingesse Te proprie forze fino allo stremo, il traffico si mosse praticamente in una sola direzione, contro un nemico demoralizzato e male armato. C’era ancora parecchia strada da percorrere prima di portare il conflitto in Europa e raggiungere Berlino, ma Kursk aveva scardinato in modo irreversibile il fronte tedesco. Von Manstein diede ordini per ottenere quanto di meglio si potesse sperare: una difesa attiva per sfiancare gli attaccanti sovietici, una strategia che fu mantenuta per tutto il lungo, doloroso, viaggio di ritorno fino al cuore del Reich.
Al culmine dell'inseguimento Stalin accettò per la prima volta di incontrare a Teheran entrambi i suoi alleati, Cnurchilfe Roosevelt, per discutere faccia a faccia la conduzione della guerra e la strategia della coalizione. Il suo treno partì da Mosca verso sud il 24 novembre. II giorno successivo giunse a Stalingrado, una città fantasma coperta dalla neve. Non vi fu alcun accenno a ispezionare le rovine; Stalin cenò nella sua carrozza e il treno ripartì dopo 30 minuti. La delegazione proseguì in aereo da Baku verso la capitale persiana, dove il 28 novembre i convenuti si riunirono nelTambasciata sovietica. Ad ogni posto di guardia c’erano, l’uno accanto all’altro, un soldato sovietico, uno americano e uno inglese73. I delegati sovietici arrivarono in uno stato d’animo di evidente fiducia in se stessi: erano i vincitori di Stalingrado e Kursk e avevano sconfitto il grosso delle forze armate tedesche. Stalin era nella posizione di chi può dare consigli e avanzare richieste. Roosevelt e Churchill accettarono di sferrare attacco in Europa da occidente nel maggio dell’anno successivo.Tra le formalità della conferenza ci fu l’offerta a Stalin di un dono del monarca inglese, Giorgio VI; una scintillante sciabola d’onore per la vittoria di Stalingrado. Davanti a una sala piena di ufficiali e soldati, e alla presenza del presidente ameri-Churchill consegnò la sciabola a Stalin, che la portò alle abbra e la baciò. Roosevelt era visibilmente commosso mentre a sciabola veniva scortata fuori da una guardia d’onore sovietica. Pochi giorni dopo Stalin fece ritorno a Mosca. Disse a Zukov che Roosevelt gli aveva dato la sua parola che gli Alleati avrebbero attaccato la Francia, in mano ai tedeschi, in primavera. «Credo che manterrà la parola», continuò Stalin, «ma anche se non lo facesse, le nostre forze sono sufficienti per portare a termine la distruzione della Germania nazista»75.
La vittoria sovietica nelle campagne di Stalingrado e Kursk fu determinante per le sorti della guerra. Nessuno mette in discussione, sia da parte sovietica sia da parte tedesca, che questo sia stato il momento principale della svolta, ma la discussione sulle sue ragionrF piuttosto accesaTIT punto di vista convenzionale ha addossato a Hitler gravi errori strategici, oppure ha attribuito il s.uq cessp sovietico alla pura e semplice superiorità numericazMarp stein jhelle sue memorie attribuì la sconfìtta del 1943 alla «straordinaria superiorità numerica del nemico». Il generale Von Mellithin veterano delle battaglie con mezzi corazzati divenuto in seguito autore di accurate analisi e resoconti, sostenne che le sconfitte «non furono dovute alla superiorità strategica del comando nemico», ma a «gravi errori strategici» e alla «enorme superiorità sovietica per quanto riguardava uomini e materiali»76. La logica che sta dietro è che non siano state le forze sovietiche a vincere lo scontro nel 1943, ma semplicemente i tedeschi a perderlo.
Da tutto ciò che sappiamo del fronte orientale da fonti sovietiche una simile spiegazione non è più sostenibile. Hitler può giustamente essere sembrato un intralcio per i comandanti tedeschi, ma fino al fallimento di Stalingrado, come disse ai suoi aiutanti il giorno della resa di Paulus, «siamo sempre stati superiori»77. Inoltre per l’operazione «Cittadella» lasciò che la pianificazione e l'esecuzione fossero in gran parte gestite da professionisti, Manstein e Zeizler. Nemmeno la pura e semplice superiorità numerica può fornire una risposta: le forze sovietiche superavano di gran lunga quelle degli attaccanti tedeschi nel 1941, ma furono fatte a pezzi; a Stalingrado e Kursk, sebbene ci fosse un leggero vantaggio da parte dei sovietici perquanto riguardava gli armamenti, la differenza era troppo piccola per attribuire la sconfitta tedesca alle «masse» sovietiche. E pur vero che le forze tedesche si trovarono a subire perdite che sarebbero state inconcepibili nel 1941: il resto dell’Europa era stato conquistato subendo meno delle perdite subite nel dicembre del 1942 e nel gennaio del 1943. Le armate tedesche si trovarono di fronte un nemico feroce e determinato, disposto a morire piuttosto che lasciar passare i soldati tedeschi, ma tali enormi perdite non furono semplicemente causate dalle «masse» sovietiche, quanto piuttosto dall’atteggiamento delle loro truppe nei confronti della morte e dal loro quasi fanatico odio per il nemico.
La schiacciante vittoria del 1943 dipese dal comportamento dei sovietiche fu il risultato di una notevole rinascita della potenza combattiva e dell'organizzazione sovietica dopo un anno e mezzo di sconfitte disastrose. Quando il maresciallo Zukov scrisse le proprie memorie della campagna valse a mettere in risalto i solidi risultati ottenuti: una migliore pianificazione centrale delle operazione la loro attenta supervisione da parte dello Stato maggiore; miglioramenti della tecnologia e delle tattiche relative al suo impiego, esemplificate al meglio sulla rete difensiva predisposta attorno a Kursk; infine la capacità di schierare milioni di uomini e migliaia di mezzi corazzati e di aerei, con tutti gli approvvigionamenti e i servizi di supporto necessari, per lunghe e complesse operazioni senza perderne il controllo78. A tutto ciò Zukov avrebbe potuto aggiungere il concetto che la programmazione e il comando centralizzato sovietici, generalmente visti in un ottica negativa al giorno d'oggi, siano stati i fattori fondamentali nel trasformare una popolazione demoralizzatala sua economia a pezzi m un'imponente schieramento armato, in grado di fornire le armi, il cibo e la forza lavoro necessari a sostenere una «guerra profonda»; nessun’altra società fu altrettanto mobilitata nel corso della seconda guerra mondiale o si fece carico di sacrifici di tale portata. I successi del 1943 non furono opera solo dei carristi e degli artiglieri al fronte, ma anche degli ingegneri e dei lavoratori dei trasporti nelle retrovie, “dei vecchi e delle donne che continuarono a coltivare i campi senza trattori né cavalli, e della forza lavoro in Siberia che lottò in condizioni durissime per produrre un flusso crescente di cannoni, carri armati e aerei costruiti in serie.
Non c’è dubbio che parte di tutta questa energia sia stata utilizzata sotto la minaccia delle armi e con il terrore dei Gulag, ma ciò non basta a spiegare il notevole sforzo di volontà espresso da comuni cittadini e soldati sovietici di fronte alla minaccia tedesca. Lo sforzo fu alimentato dalle evidentissime conseguenze dell'invasione. Quando Il'ja Ehrenburg lo scrittore sovietico, visitò il saliente di Kursk dopo la battaglia, rimase inorridito da ciò che vide: «Villaggi distrutti dal fuoco, città fatte a pezzi, gli alberi ridotti a ceppi, le automobili impantanate in una melma verdastra, ospedali da campo, fosse scavate in tutta fretta - tutto si fonde in un unicum, nella guerra profonda»79. La vista di tanta distruzione gratuita nelle zone un tempo occupate dagli invasori spinse Ehrenburg a scrivere sulla «Stella rossa»: «Ora la parola “tedesco" è diventata la più orrenda bestemmia. Non parliamo, non indignamoci. Uccidiamoli... se hai ammazzato un tedesco, ammazzane un altro!»80. Quando il generale Cujkov aveva attraversato il Volga nel settembre 1942 per unirsi alla 72a armata si era commosso fino alle lacrime alla vista dei profughi sovietici ammassati sui moli in attesa di sfuggire ai bombardamenti, bambini senza genitori, gli occhi pieni di vuota disperazione81. Per i soldati sovietici la guerra non era qualcosa che accadeva in un altro paese; accadeva davanti ai loro occhi, nei loro villaggi e nelle loro città, e alle loro famiglie.
La spinta a vincere le battaglie del 1943 derivava da emozioni violente, da un odio rivolto a un preciso obiettivo. La caparbietà della resistenza sovietica sbalordì i comandanti tedeschi; la ferocia degli scontri portò ad atti di barbarie in entrambi gli schieramenti. La lotta finì per assumere il carattere di quella vera e propria lotta della natura che Hitler credeva stesse alla radice di tutta la vita umana, la sopravvivenza del più forte. La volontà sovietica di vittoria, che emerse dolorosamente dalla rovina delle fortune sovietiche prima di Stalingrado, non era una pura e semplice astrazione, ma uno sprone per sforzi che nessuna delle due parti, sovietica o tedesca, avrebbe ritenuto possibili un anno prima. I cittadini sovietici furono gli artefici del loro stesso riscatto dagli abissi della guerra.